cap. 13

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It's our paradise and it's our war zone
Pillow talk
My enemy, my ally
Prisoners
Then we're free, it's a thin line
I'm seeing the pain, seeing the pleasure
Nobody but you, 'body but me
'Body but us, bodies together

due mesi dopo

Déjà-vu.
Espressione francese, tradotta letteralmente "già visto".
Incontrare qualcuno per la prima volta, ma avere l'impressione d'averla già conosciuta.
Parlare con qualcuno e ricordare di avere già pronunciato quelle parole.
Sentire una nuova canzone o melodia e trovarla famigliare.
Visitare un luogo per la prima volta e avere la sensazione di esserci già stati.
Il déjà-vu è assai differente da una sorpresa che archiviamo in fretta perché la giudichiamo insensata. Esso ci mostra che il tempo non passa. È il ritorno ad una situazione già realmente vissuta e che, in quel momento, si ripresenta identica.
I Déjà-vu sono tracce di un passato al di là del tempo che confermano o meno  che si sta proseguendo sulla strada giusta.

Aprì di scatto gli occhi, sobbalzai sul posto per il rumore scattante della pesante porta di ferro e facendomi risvegliare dal mio stato di trance.
"Vestiti, ripasso tra 5 minuti"
La guardia mi lanciò la tuta nera lasciandomi ancora stordita per il violento risveglio.
Non sapevo che ora fosse. Le luci si accesero facendomi strizzare gli occhi un paio di volte per l'intensità.
Spegnevano e accendevano le luci a qualsiasi ora del giorno, era impossibile capire se fosse mattina o sera.
Non sapevo quanto tempo fosse passato. Inizialmente cercavo di tenere il conto in base ai pasti, ma sfasarono anche quelli. Potevano essere passate due settimane o tre mesi.
Mi misi seduta con ancora la coperta sistemata sulle gambe disordinatamente. Appoggiai i piedi per terra, girai la testa da un lato all'altro facendo scrocchiare il collo. Mi passai una mano sui capelli portandoli indietro. Svogliatamente sollevai il mio corpo, alzandomi dopo non so quanti giorni. Stiracchiai tutti i miei muscoli, portando le braccia all'indietro, provocandomi un giramento di testa momentaneo per la bassa pressione.
Stropicciai gli occhi, andandomi a sciacquare il viso in quel piccolo lavandino che avevo in cella.
Guardai l'uniforme.
Nera, per le detenute pericolose.

"Adesso non hai paura, fai paura"

Sbuffai sorridendo, ricordando quello che mi aveva detto al ritorno dalla fuga in Marocco. Scossi la testa e mi spogliai, togliendo quella gialla e lasciandola alla rinfusa sul letto già sfatto. Indossai la divisa nera del carcere, lasciando aperta la camicetta con la solita canotta bianca sotto. Non portavo il reggiseno come sempre, per l'allergia.
Appoggiai la schiena al muro dietro di me, evitando di risedermi. Ero stata troppi giorni seduta o stesa. Non facevo altro che dormire, sembrava non lo facessi da anni. Però non dormivo bene, mi svegliavo ogni ora e dopo una mezz'oretta mi riaddormentavo e così fino ad oggi. Solo i primi giorni cercavo di allenarmi, segnata ancora dall'euforia di quello che era successo in precedenza. Molti pasti li saltavo, non avevo molta fame. Sembrava avessi chiuso il mio stomaco e riuscivo a vedere i cambiamenti sul mio corpo. Non che avessi uno specchio ovviamente, ma bastava portarmi una mano sul volto per scorgere tutti i lineamenti molto più marcati. Il mio riflesso non lo vedevo da troppo tempo, forse mi sarei spaventata vedendomi. Che cazzo.
Avevo smesso di pormi domande troppo critiche per me stessa. Chiudere occhio i primi giorni era una missione impossibile, dettata solamente da i troppi drammi che avevo in testa.
Era come essere pazze. Stringevo i pugni dal nervosismo, lasciando i segni delle mie unghie sui palmi delle mani.
Avrei voluto urlare il casino mentale che avevo in testa, ma semplicemente non ci riuscivo. Prendevo il mio volto tra le mani e scuotevo la testa, volendo dimenticare tutto. Era inaccettabile una cosa del genere e odiavo sentirmi così. Non posso dire di essere fragile o altre cazzate, odiavo solamente accettare una cosa simile.
Mi rendeva pazza nel profondo.
Quegli sguardi prima di essere prese e sbattute in isolamento, perché cazzo mi stanno facendo ribaltare lo stomaco.
Avevo cercato il suo sguardo tra la folla e l'avevo trovato subito, perché lei aveva già gli occhi fissi su di me con quel sorriso capace di rivoltarti l'anima. Alzarmi automaticamente ed andare verso di lei non curante delle parole delle altre, questo mi spaventava. La vedevo sotto una luce diversa e mi stava dando completamente in testa.
Odiavo tutto ciò.

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