4 - Funambolo

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È così bella stasera, così speciale e così normale che, davvero, non so come uscirne.
Non che di solito non lo sia, bella, anzi, possiede una bellezza luminosa e personalissima che passa per gli occhi mutevoli e il sorriso sagace, per la destrezza mentale e la sinuosa eleganza con cui compie ogni gesto.
E possiede anche la capacità di muoversi con sicurezza in qualsiasi contesto.
Se ho immaginato di impressionarla, invitandola tra gli stucchi e gli ori del palazzo ho di nuovo clamorosamente sbagliato.
Le sono bastati pochi minuti per amalgamarsi perfettamente al contesto, per plasmarlo anzi e renderlo su misura per lei, complici la sua capacità di non smarrire mai sé stessa e di vivere ogni luogo e ogni circostanza con il giusto connubio di entusiasmo e rispetto.

Una parte di me trema al pensiero di ciò che potrà succedere stasera, di quanto stia prendendo consapevolezza dentro di me del bisogno sempre più intenso che ho di lei.

Siamo a tavola da una mezz’ora e ancora non mi sono saziato di guardarla.
Ha scelto di indossare un abito semplicissimo, nero, che la fascia con garbo, e ha raccolto i capelli ma in modo morbido che, sono sicuro, basterebbe un gesto per scioglierglieli e infilarci dentro la mano.
Se lo facessi, sono certo lei appoggerebbe la testa al mio palmo e sorriderebbe appena, e io sarei perduto.

Deglutisco a fatica e lo ammetto, non posso più farne a meno.

Ho sempre pensato a me come a un funambolo, e ho sempre vissuto i miei giorni camminando la vita come una lunga fune instabile appesa tra  due estremità.
E se di questa corda ho sempre avuto ben nota l’estremità da cui sono partito, non ho mai avuto di idea di quale fosse la meta misteriosa verso cui avanzavo tentennando, spesso spaventato ad ogni passo.

Ma ora lo so.

So che voglio sollevare le braccia per mantenere meglio l’equilibrio e poi avanzare senza incertezze, incurante della paura, di ogni timore, perché di colpo la vita è divenuta un percorso sconosciuto ma lastricato di meraviglie, perché dall’altra parte della fune, che non mi è mai apparsa salda e sicura come ora, so che c’è lei.

Ho trovato la base solida a cui è strettamente allacciato il mio percorso, su cui voglio appoggiare i piedi, e smettere di ondeggiare al vento, sempre in bilico tra ciò che ho e ciò che vorrei.

Lei è il mio punto di arrivo, ora lo so, finalmente l’ho capito.

La voglia di prenderle la mano e intersecarci le dita e dirglielo, tutto d’un fiato, mi fa girare la testa ma non voglio interromperla, di qualsiasi cosa stia parlando.
È troppo bella, e troppo presa, da ciò che sta raccontando che sarebbe un delitto privarmi della vita che le sento scorrere sulla pelle.
Me la godo tra me e me, questa consapevolezza, ancora per un poco.
Seguo affascinato il brillio garbato degli orecchini colorati che si muovono lievi quando si accalora per sottolineare un concetto, o si sporge verso di me per rendere più incisivo un dettaglio.
Perdonami Silvia, se non sto capendo un cazzo di ciò che dici, ma sei un tale spettacolo che non so fare altro che guardarti.

Appoggio il mento sulla mano e mi smarrisco  nei  baluginii tintinnanti di pietra dura che fanno da sottofondo festoso alla sua voce calda, piena. Cristo, Silvia, ma come faccio io a trovare le parole giuste per…
“Giuseppe? Ma mi stai ascoltando?”
Regge il bicchiere di vino tra le mani e mi guarda, la testa un po’ piegata verso la spalla, gli occhi ridenti che mi riserva quando mi scopre, inebetito, a guardarla. E mannaggia a me che sono completamente partito per lei, mi scopre spesso.

Sfodero il mio sorriso migliore, e provo a impostare lo sguardo tenebroso a cui nessuna resiste.
“Ma certo! Con estrema curiosità e interesse e…”
Lei scuote piano la testa e mi sorride.
“…no. Perdonami. Ci ho provato ma davvero non ci ho capito un… niente.”

Più forte di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora