2 - Fiori bianchi

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Silvia Rìccioli.
Silvia Rìccioli.
Silvia.
Non so se l’avrei considerato un volto da Silvia il suo. E non so nemmeno come mi sia tornato in mente il gioco che facevo anni fa alle elementari, di abbinare un nome a ciascun volto, indipendente da come ci chiamassimo.
Io ad esempio per parecchi miei compagni ero Gabriele, sa Dio perché.
E il mio miglior amico Vittorio era Carlo.
Ci passavamo i pomeriggi, e ci studiavano e ridevamo sopra per ore.
Che cazzata micidiale.
Solo a dieci anni puoi ridere su una roba simile. Però che bello avere dieci anni e non aver nulla a cui pensare se non a quel genere di cazzate.
Comunque, davvero, non so se ci avrei abbinato il nome Silvia, al suo volto, un nome che inizia con un sibilo, come quello di una lama.
Anche se, effettivamente, tagliente e a suo modo spietata con me, lei quella notte lo è stata.
Sospiro.
Avevo dato per scontato che sarebbe stato il solito gioco pecorella smarrita-lupo cattivo ma mi son dovuto ricredere completamente: non c’è stato un solo istante in cui lei si è sentita smarrita o dominata.
Ho avuto tra le braccia una donna libera e consapevole con cui ho condiviso dell’ottimo sesso, vissuto appieno in uno scambio alla pari, durante il quale ho preteso molto e altrettanto è stato preteso. Ricordo il suo sorriso affilato, quando, carponi davanti a me, mi guardava di sopra la spalla, e mi sfidava, la voce rotta dai miei affondi “Così non mi basta, devi darmene di più
Gliel’ho dato naturalmente, più che ho potuto e lei è venuta urlando, poi si è sfilata e mi ha…
Ok, la smetto.
Sono a Chigi, ed è metà pomeriggio. Non è il momento per un’erezione difficilmente gestibile, quindi è meglio se evito di ricordare certi particolari, anche se guardando la sua foto è praticamente impossibile non rivedermela davanti, nuda e sorridente di quello stesso sorriso insolente.
Per provare a non pensarci scorro i documenti contenuti nel fascicolo: è incredibile la quantità di informazioni che ha reperito De Santis in poco meno di dieci minuti.
Silvia Rìccioli, di Roma, trent’anni.
Una laurea magistrale in biotecnologie molecolari e industriali, e un curriculum universitario di tutto rispetto, arricchito da master e dottorati e ampliato con svariati approfondimenti all’estero A quanto apprendo vive da sola e ha sempre lavorato per mantenersi agli studi, non dipende da nessuno.
Tosta la ragazza.
Non che non lo avessi capito d’altronde.
Sono venuta a letto con te perché te l’ho visto grosso nei calzoni e volevo vedere se lo sapevi anche usare.” Me lo aveva detto ansimando, dopo che ero riuscito a farla godere la terza volta. Poi mi aveva scoccato uno sguardo di sfida e benché ci avessi provato in tutti i modi non ero riuscito a farmi dire se lo avevo usato con sufficiente maestria.
Ecco, mi sta tornando duro come pietra. Se visionare questi documenti mi porta certe conseguenze è meglio lasciar perdere. Non ho tempo, né energie per l’ennesima storia di sesso.
Lancio il fascicolo sulla scrivania con un gesto stizzito e mi avvicino alla finestra. Apro i battenti e respiro l’esterno: il traffico in lontananza, il sole, i rumori.
Il nervosismo si placa e l’eccitazione svanisce. La sensazione di quiete e tenerezza che ho provato tenendola stretta prima di addormentarmi invece rimane, insieme alla sconcertante consapevolezza che, in qualche modo, lei riesca a farmi stare bene, ad alleggerirmi.
Anche pochi minuti fa: mi è bastato pensare a lei per evocare un ricordo sereno che nemmeno sapevo più di possedere. Rinuncio a capire, ma non posso rinunciare a cercare di sentirmi ancora così… così come Giuseppe? Così come?
Non lo so, non mi è mai successa una cosa così. Mai.
Respiro a pieni polmoni poi richiudo la finestra, e torno sui miei passi. Consulto il fascicolo e compongo un numero sul telefono.
È il recapito che ha lasciato all’agenzia, in teoria dovrebbe rispondere. E infatti risponde, al quarto squillo.
Ne riconosco la voce, anche se non il tono, che è decisamente meno fondo, più neutro.
Deglutisco e mi rendo conto di avere i palmi delle mani sudati e il cuore a mille. E il cervello ridotto a una poltiglia acquosa, posso sentire distintamente lo scoppio delle sinapsi in corto circuito.
Ma che cazzo, non mi riconosco. Perfino Nicolò sarebbe meno pippa di me, in questo momento.
“Silvia? Buongiorno, sono Giuseppe Conte”
“Buongiorno”
Cristo. L’iceberg contro cui ha impattato il Titanic emanava più calore.
“Io…ecco… Come sta, innanzitutto?”
Silenzio.
“Io…si. Io volevo, vorrei…ecco… lei, tu…mi hai fatto… io”
Cazzo. Ma che mi sta succedendo? Ma nemmeno a quattordici anni balbettavo così.
“Insomma io, ecco sì, vorrei tanto…”
Dio santo, ma sono io? Faccio fatica a crederlo.
“Guardi non so che idea si sia fatto di me ma non sono interessata, la saluto” e attacca
Evidentemente deve aver fatto fatica a crederci anche lei, deve avermi trovato troppo coglione.
Rifaccio il numero furiosamente e aspetto che risponda di nuovo. Stavolta lo fa al secondo squillo, ma a me sta già partendo un incazzo che faccio fatica a controllare.
“ Se tu non… Lei. Lei, lei, mi scusi, lei non mi fa parlare, come fa a sapere cosa penso di lei?”
Giurerei di sentirla sbuffare
“Mi dica allora”
Prendo fiato, so che posso farcela. Ho fatto cose di gran lunga peggiori, il pelo sullo stomaco non mi manca. Ma qui non si tratta di pelo o di stomaco, qui si tratta di cuore, che capriola impazzito da aver paura di sentirlo staccarsi da un momento all’altro. Ma che effetto mi fa questa donna? O è un principio d’infarto?
“Ecco io l’ho cercata perché sono stato benissimo con lei, l’altra notte e mi domandavo se…”
“Se oltre che la hostess faccio anche la escort? No, Presidente, come le dicevo prima, non sono interessata, buon..”
“Aspetti!”
Ho alzato la voce più di quanto avrei voluto ma dovevo impedirle di riattaccare.
“Mi creda non ho mai pensato a lei come a una escort, non mi permetterei mai. Ma ho pensato a lei, questo sì”
“Prego?”
Dai, che forse sono riuscito a sorprenderla, a destare un briciolo di curiosità.
“Ho pensato a lei, a quanto mi sono sentito…bene. E mi sono chiesto se anche lei avesse provato, insomma mi sono chiesto se le farebbe piacere che ci rivedessimo. Per un caffè, un aperitivo, decida lei.”
Adesso giurerei di sentirla sorridere e ne approfitto. Tiro fuori la voce col tono basso, quella che credo farebbe addolcire anche la Gorgone.
“A me farebbe molto piacere.”
Ci sono quasi, la sento sospirare.
“Piacerebbe anche a me, Presidente.”
“Giuseppe”
Ride. È fatta.
“Piacerebbe anche a me, Giuseppe”

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