HARRY14 settembre
-Harry, alzati o farai tardi.-
La voce di mia mamma, risuonò nella mia stanza, come una specie di eco, ma più insopportabile; dovevo svegliarmi. Oggi sarebbe stato il primo giorno di scuola, dopo tre mesi di 'vacanze' che ho passato a divertirmi, ma anche ad aiutare mio padre con il campo; ma tutto ciò non mi dispiaceva. Non mi piaceva andare a scuola e non mi piaceva stare per ore seduto dietro ad uno stupido banco ad ascoltare per ore e ore una persona qualunque, che si permetteva di giudicarti, di darti un voto e di colpirti addirittura con una bacchetta, se facevi qualcosa di sbagliato, eppure volevo rivedere alcuni miei compagni che non avevo visto per tutta l'estate. E così affronti il primo giorno con la voglia, o meglio con l'illusione, di risalutare tutti e tutto e con la consapevolezza che non farai un cazzo, almeno per quel giorno. Non che la mia fosse una vera scuola, anzi, era un centro per l'arruolamento dei Marines, ma aveva comunque la solita prassi. Abbandonai il letto, barcollando verso i miei soliti vestiti e, dopo averli indossati, seguii la scia profumata che conduceva alla cucina.
-Vieni Harry, ho fatto i biscotti per il vostro primo giorno di scuola-
Sorrise mia madre non appena mi vide entrare in cucina, mentre mia sorella Gemma ne stava già assaggiando alcuni. Mio padre invece, come al solito, se ne stava seduto in sala, a leggere il giornale del giorno precedente, incurante dei suoi due figli e di sua moglie. Non lo avevo mai considerato un vero e proprio padre, perché non era mai stato tale: era bravo solo a picchiarci, a castigarci e a farci sgobbare nel campo per ore intere, sotto il caldo sole d'agosto mentre lui mangiava o si appisolava all'ombra di qualche ulivo. Ed anche io, cercavo sempre di evitarlo: quando rientravo o quando uscivo, non lo salutavo; quando mangiavamo, io me ne stavo in camera mia e quando dovevamo fare delle commissioni, io mi mettevo a correre, per non stare con lui.
Mia mamma sapeva benissimo del mio odio nei suoi confronti, ma non faceva niente, altrimenti l'avrebbe picchiata, come fa su tutti noi quando non rispettiamo le sue regole. E lei ci stava così male nel vedere i suoi figli soffrire, per questo cercava di offrirci tutto il suo amore e di 'viziarci' il più possibile, perché lei a noi ci teneva, al contrario di quell'uomo che stava per fare la sua irruzione in cucina.
-Harold, oggi ti accompagno io a scuola, devo passare di lì per poi andare in bottega.-Harold.
Quanto odiavo quel nome, soprattutto pronunciato dalla sua bocca. Era l'unico che mi chiamava in quel modo, l'unico che non aveva mai voluto utilizzare il mio vero nome, Harry, perché lo considerava poco nobile, anche se di nobile noi non avevamo niente, e perché lo aveva scelto 'quella inutile donna', come lui chiamava Anne, mia madre. Mi sono sempre chiesto cosa avessero trovato i miei nonni di bello in quell'uomo per ritenerlo adatto a prendere la mano di mia madre, ma non trovavo la risposta, nemmeno una.
'tua nonna era molto amica di sua mamma', mi aveva spiegato Anne mentre c'eravamo ritrovati seduti in giardino durante una fresca serata d'agosto. Eppure questo non mi sembrava sufficiente: davvero i miei nonni hanno voluto rovinare la vita della loro unica figlia solo perché erano amici dei genitori di quell'essere? Ridicolo.
-Oggi sono in anticipo, prendo la strada più lunga e mi faccio un giro.-
La mia voce era fredda e il mio volto non aveva espressione, i miei occhi puntati sui biscotti al centro del tavolo e non sui suoi, non potevo; lui ancora in piedi sull'entrata della porta con un sorriso beffardo in viso ed un'aria di superiorità che gli scorreva nelle vene. E fu appunto quest'ultima che lo portò a sbattermi una delle sue grosse mani sul volto, lasciandomi una chiazza rossastra, simbolo del suo potere su di me. Sapeva del mio odio, sapeva che io non volevo fare nessuna 'strada più lunga', sapeva che io cercavo solo di star lontano da lui; ed era appunto questo che gli dava fastidio: la considerava una mancanza di rispetto. E avrei voluto tanto difendermi, avrei voluto urlargli in faccia moltissime cose ma, sotto gli occhi già lacrimanti di mia madre e la faccia impaurita di mia sorella, non feci altro che alzarmi e uscire, allontanandomi da lui. Ed ora mi toccava davvero prendere la strada più lunga, quel percorso che passava per i quartieri ricchi di Houston, pieno di gente ancora più altezzosa di mio padre e con la puzza sotto il naso. Odiavo quella gente, erano tutti senza sostanza: avevano tutto, ma volevano di più e facevano a gara per chi aveva i vestiti più belli o le macchine più costose, a differenza di tutti quelli che abitavano nel nostro quartiere, che dividevano con tutti anche quel poco pane che riuscivano a guadagnare. Avevo sempre desiderato essere ricco, avevo sempre immaginato come sarebbe avere la possibilità di permettersi di tutto, ma non avrei mai voluto essere come loro. Perché se 'essere ricchi' significava anche non avere personalità o seguire la massa, allora mi bastava essere quello che sono. E mentre camminavo per quei vicoli, passavano ai miei lati quelle case lussuose, una più bella dell'altra ed ognuna grande quasi come il mio intero quartiere. Da un lato però mi vergognavo; provavo imbarazzo nello 'sfilare' per quelle strade nei miei vecchi e sporchi vestiti, mentre mi prendevo gli insulti degli altri e mentre sentivo le loro risate prendere sempre più spazio in quell'aria ancora troppo afosa, per essere ormai settembre.
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Fanfic'Sono solo cartoline.' fu questo il primo pensiero di Zayn Malik, quando scoprì quell'album. Eppure, forse portato dalla delusione causata dalla fine della sua storia d'amore, il ragazzo fece di tutto per scoprirne di più. E solo Liam Payne sapeva...