Dopo il pranzo, Jimin fu il primo a lasciare la mensa. Si alzò dal tavolo, lasciando quasi tutto il cibo nel vassoio, ed andò via, dicendo di dover raggiungere il laboratorio di chimica prima che la lezione iniziasse per parlare con il professore. Taehyung l'aveva guardato confuso, probabilmente sapendo che quella da lui usata fosse solo una scusa, non che ci volesse un genio per capirlo. Jungkook non aveva perso tempo a seguirlo, intenzionato a parlargli di ciò che era accaduto il giorno precedente, al parco. Aveva bisogno di dirgli che avesse ragione, che era stato uno stupido anche pensare per un solo momento quelle cose, e doveva scusarsi, per tutto. Non riusciva più a sopportare il dolore, aveva bisogno di tirarlo fuori in qualche modo e di far sì che venisse sostituito da qualcos'altro, qualcosa che non lo distruggesse a tal punto. Uscito dalla mensa, adocchiò il biondo camminare verso le scale anti incendio e non perse tempo a seguirlo, tenendosi però a debita distanza così che non lo allontanasse prima del dovuto. Quando lo vide sedersi, fece la sua mossa, sedendosi accanto a lui senza dire una parola. Jimin gli lanciò un'occhiata, ma diversamente da come Jungkook pensasse, non parlò. Si limitò a comportarsi come se non ci fosse. Cercava di ignorare la sua presenza, come avrebbe dovuto fare fin dall'inizio.
"Mi dispiace per ieri" Parlò poi, puntando gli occhi sul suo viso che, con la mascella contratta, teneva le iridi scure puntate davanti a sé. Il corvino avvertì le parole morirgli in gola: non sapeva cosa dire, cosa fare, come agire. Jimin era lì accanto a lui e tutto ciò che aveva programmato di dirgli sembrava non voler uscire dalle sue labbra. Quella scena scatenò qualcosa. Un ricordo. Un nuovo ricordo, che da un anno a quella parte non si era ancora fatto vivo nella mente del maggiore. Un ricordo che riuscì finalmente ad aprirgli gli occhi ed a fargli realizzare di star sbagliando ogni cosa. Il momento in cui aveva cominciando a guardarlo con occhi diversi, e ad innamorarsi, pian piano, di lui.
Tornare a casa dopo le vacanze di Natale non era mai stato più bello. Jimin amava Busan, la città dove suo padre e sua sorella vivevano, ed amava stare con loro, ma lì non aveva i suoi amici e soprattutto non poteva fare ciò che faceva di solito a casa da sua madre, come fumare o bere qualcosa che non fosse acqua. Suo padre aveva regole molto rigide, persino sua sorella, a diciannove anni compiuti, non poteva vestirsi o comportarsi in un certo modo. Molte erano state le volte in cui l'aveva chiamato in lacrime, lamentandosi dei comportamenti del padre e del fatto che pretendesse fin troppo da lei. Jimin avrebbe voluto aiutarla, era addirittura arrivato a suggerirle di chiedere il cambio d'affidamento e tornare a Seoul, ma lei diceva sempre che non poteva lasciarlo solo. E un po' la capiva, visto che nonostante tutto neanche lui avrebbe voluto abbandonare sua madre. Non poteva essere considerata la donna migliore del mondo, ma era pur sempre sua madre. Tornato a casa, Jimin non perse tempo a recuperare le due settimane che aveva perso stando a Busan. Si informò subito se ci fosse qualche festa quel venerdì e ci andò. Taehyung, come sempre, non lo raggiunse, sia perché odiava quel genere di cose, sia perché quello era l'unico periodo dell'anno in cui poteva stare un po' di più con i suoi fratelli, che entrambi frequentavano università fuori città, e quindi voleva godersi ogni minuto con loro. Tuttavia, quella festa fece accadere proprio quello che il biondo non si sarebbe mai immaginato potesse succedere. Non con quella persona, almeno. Stanco di quel trambusto, raggiunse il tetto dell'abitazione di Mingyu, il ragazzo che aveva organizzato il tutto, e vi salì, sedendosi su di esso in modo da non cadere giù e finire spiaccicato nell'erba del suo giardino. Lo faceva molto spesso anche a casa sua, a notte fonda, quando tutti erano troppo impegnati a dormire. Gli dava pace, osservare le strade deserte illuminate dai lampioni, le poche finestre con la luce accesa, dove c'era chi non riusciva a dormire, assorto nei propri pensieri o in ciò che stava facendo prima che arrivasse la notte. Poche volte gli era capitato di vedere dei ragazzi per strada, ubriachi fradici, oppure uomini lasciare che una delle tante prostitute sul ciglio della strada salisse nella loro macchina. Era capitato che rimanesse sul tetto fino al mattino, riuscendo a vedere l'alba, da solo. Nessuno gli faceva compagnia, sia perché passare una notte insonne era insopportabile per tutti quelli che conosceva, sia perché nessuno era mai venuto a conoscenza di quella sua abitudine. Neanche Taehyung. Forse, però, quella sera qualcosa doveva cambiare.
"Hey, posso disturbarti?" Una voce sottile e pacata lo distrasse dai suoi pensieri, facendolo sussultare leggermente. Girò lentamente la testa, sospirando nel vedere il viso di quel ragazzo che, con i suoi occhi scuri ed un piccolo sorriso sulle labbra, lo osservava. Strano come coloro che credevi di odiare possano rivelarsi persone fin troppo simili a te. Avevano passato l'intero anno scolastico a stuzzicarsi, a litigare e ad insultarsi come se la loro vita dipendesse da quello. Poi, dopo la sera della scommessa, si erano avvicinati, o meglio, il minore si era avvicinato, lui gli aveva solo retto il gioco. E, inaspettatamente, si ritrovarono ad essere amici prima ancora che potessero accorgersene. Era Gennaio, il suo terzo anno di liceo si era concluso da una settimana, o poco più, ed avrebbe iniziato il quarto con accanto la persona che si aspettava di odiare fino al quinto. Jimin annuì, permettendogli di stare con lui. L'altro non ci mise molto a sedersi al suo fianco. I suoi occhi bruciavano sulla sua pelle, Jimin riusciva a sentirli, sapeva che avrebbe voluto chiedergli il motivo per cui si fosse rifugiato lì, ma non disse nulla. Semplicemente, se ne stette in silenzio e, con un po' di timore, poggiò la testa sulla spalla dell'altro che, diversamente da quanto si aspettasse, non lo scansò, bensì avvolse un braccio intorno alle sue spalle, facendolo sentire più protetto che mai.
"Come mi hai trovato?" Chiese, a bassa voce. L'altro scosse la testa, mentre la sua mano andò a cercare la sua e, non appena la trovò, non perse tempo a stringerla, intrecciando le loro dita. Il tocco caldo in contrasto con il suo freddo, dovuto al troppo tempo passato all'aria aperta, esposto al vento gelato della notte. Jimin arrossì visibilmente, ma evitò il suo sguardo, senza muoversi da quella posizione. Il suo cuore iniziò a battere veloce, più del normale, mentre in esso andava ad intrufolarsi il bisogno di averlo accanto, quella sensazione inconfondibile, così forte, di calore, come quando torni a casa dopo mesi passati senza mettervi piede. E le parole che pronunciò dopo andarono solo a confermare ciò che stesse succedendo, non solo a lui, ma ad entrambi. Eros li aveva scelti, e nessuno poteva sottrarsi al suo potere.
"Io saprò sempre come trovarti, Jiminie"
E, per quanto possa suonare da stalker come frase, sapeva che intendesse altro. Ed il tempo l'aveva solo dimostrato. Aveva dimostrato come entrambi fossero incredibilmente connessi, l'uno parte dell'altro. Aveva mostrato il bisogno che entrambi avevano di un costante contatto, quasi come per paura di perdersi e di non riuscire più a ritrovarsi. L'aveva dimostrato quella notte, quando il corvino era piombato in casa sua, finendo con il fare l'amore con lui senza neanche saperlo. L'aveva dimostrato quella sera in auto, quando si erano baciati, per la prima volta consapevoli di ciò che provassero l'uno per l'altra. L'aveva dimostrato in tanti modi, portando i due ragazzi a vivere una storia d'amore breve, ma allo stesso tempo più intensa di tante altre durate anni. E l'aveva dimostrato anche nel momento in cui il cuore di Jimin era caduto in pezzi, schiacciato proprio da colui che amava con tutto se stesso. Perché? Perché doveva andare così. Il loro destino, la piega che la loro storia doveva prendere. Non avrebbero potuto evitarlo neanche volendo. La loro relazione doveva finire in quel modo, in quell'istante, senza interruzioni. Si dice che la vita abbia un piano per tutti noi e che, per quanto cerchiamo di cambiarlo, la strada da noi costruita ci porterà sempre a quel finale. L'insieme di scelte da noi prese, di azioni da noi compiute, di parole da noi dette, cambierà il sentiero, ma non la meta. Non potremmo mai sottrarci al nostro destino, perché più proviamo a farlo, più questo ci porterà dove siamo destinati ad essere. Ed è proprio per questo motivo che la loro relazione si era conclusa. Ma ciò non significa che non sarebbe potuta rinascere, che l'amore avrebbe abbandonato i loro corpi, che il cuore del biondo non sarebbe più stato riparato, che non potevano più essere destinati ad essere. Fu proprio questo pensiero a dare la forza a Jimin di voltarsi, gettare la sigaretta sulle scale, ancora a metà, e guardare Jungkook negli occhi.
"Andiamo via"
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Still [KOOKMIN]
Fanfiction"Spezzare un cuore è facile, ripararlo un po' meno. Mi chiedo se le persone che osano farlo lo sappiano" Accenni; Taegi little bit of smut La storia originale proviene da @ghostofcalvm, il mio vecchio profilo.