Perdendomi

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"Peccato, erano due.
Le confermo, non c'è battito.
Gli embrioni si sono fermati intorno alla sesta settimana."

I miei occhi trafugano tra le immagini su un monitor che in realtà non volevo vedere, cerco di spostare la mia attenzione altrove e si fermano sugli smeraldi degli orecchini della dottoressa da cui sono uscite quelle poche parole che mi rimbombano in testa.
Focalizzo gli orecchini: non molto grandi, quadrati, una piccola montatura in oro giallo su cui svettano i mille riflessi racchiusi in quei piccoli mondi di smeraldo taglio carrè.

Ricordo l'ultima volta che ero stata qui, un paio di anni fa, la stessa donna che mi diceva 'Mannaggia è solo uno.' con un sorriso dolce.
Mi porge un foglio di carta assorbente e si dirige verso la scrivania, nel frattempo mi ritrovo in piedi di fronte a lei, muta e senza forze.
I miei pensieri bloccati sui suoi orecchini, la sua mano sulla spalla che mi spinge delicatamente a dirigermi verso la porta.

"Venga."

Peccato erano due.

Peccato erano due.

Peccato erano due.

Entro in un'altra stanza e mi siedo di fronte ad una donna più anziana, un'infermiera.
Ha dei fogli di fronte a sé, chiede il mio nome, la data ed il luogo di nascita.
Rispondo come un automa e con difficoltà, mi sembra di aver ingoiato una mela e che mi sia rimasta appena sotto la gola.

Peccato erano due.

Sento le parole dell'infermiera senza effettivamente ascoltarle.
Il pensiero che mi martella in testa è che sono entrata dentro questo palazzo convinta di aver subito un lutto ed invece scopro che sono due.

Le sento dire che non devo pensare negativamente, ero rimasta incinta e questa è una cosa positiva, tante donne provano e riprovano senza risultati per anni, invece io ci sono riuscita, ci sono possibilità che possa riaccadere.

Positiva?

La mia mente torna a qualche settimana prima: io con il test in mano di prima mattina, lui sdraiato sul divano su cui ha dormito per l'ennesima notte, i jeans sbottonati e le scarpe sparse sul tappeto del salotto.

Lui che mi guarda e l'unica parola che gli sento uscire dalla bocca: "Liberatene"

La mia risposta: "Piuttosto mi libero di te!"

Una lacrima solitaria mi scivola sulla guancia, l'unica.

"Ci sono possibilità che possa riaccadere", ho quasi 40 anni, chi vuole prendere per il culo questa infermiera? Non ha sentito e recepito il mio anno di nascita?

Le sento dire che non tutte le gravidanze vengono portate a termine, anzi nella maggior parte dei casi accade quello che è successo a me, che spesso neanche se ne rende conto una donna, un ciclo più lungo del normale spesso è un aborto spontaneo.

Continuo a sentire la sua voce nel mio silenzio, misura la mia pressione, mi chiede se ho già fatto anestesie e le rispondo che l'ho fatta per il cesareo di mia figlia.

Astrid, stamattina l'ho cambiata e vestita, l'ho vista andare via con i nonni paterni proprio davanti al portone di questo elegante palazzo in cui mi trovo, non ricordo se mi abbiano detto qualcosa.

Mi sono ritrovata davanti all'entrata completamente da sola, non ricordo neanche che lui mi abbia salutata.

L'infermiera mi fa un elettrocardiogramma e poi dice che dovrò attendere in sala d'aspetto fino a che non verrò ricoverata in day ospital.
Esco dall'ambulatorio e trovo i volti pieni di angoscia dei miei genitori, mi accolgono tra le loro braccia ed insieme ci dirigiamo verso la sala d'aspetto.

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