Prologo - Inizio Titanomachia

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Buio.

Questa era l'unica cosa che Aidoneus aveva visto per buona parte della sua fanciullezza. 

Il buio totale.

Rammentava vagamente il volto di sua madre, la Titanide Rea. La ricordava bella e dolce, con occhi amorevoli e un sorriso che le illuminava lo sguardo. Rammentava anche il tocco gentile delle sue mani che lo stringevano spasmodicamente contro il suo petto, delle sue dita che tracciavano lievi i contorni del suo volto, impalpabili come l'aria. Ricordava il suono della sua voce melodiosa.

"Benvenuto in questo mondo, mio piccolo Aidoneus" quelle erano state le prime – e uniche – parole che gli aveva rivolto. Aveva appena fatto in tempo a dargli un nome prima che suo padre, Crono, irrompesse nella stanza e lo strappasse bruscamente alle braccia amorevoli di Rea. Non disse nulla, il Titano, ma si limitò a spalancare la bocca e ad inghiottire in un solo boccone il figlio appena nato. Da quel momento in poi non vide altro che le tenebre dello stomaco di Crono.

Però non era da solo.

Nella pancia del Titano erano presenti tre altre piccole dee. Le sue sorelle. Estia, la maggiore, Demetra, la secondogenita, e infine Hera.

"Ciao, piccolo" lo salutò Estia, ma Ade non riuscì a vedere il suo volto ma solo a sentire il suono della sua voce "Come ti chiami?"

"A-Aidoneus" balbettò lui, spaventato. La sentì muoversi e cercare a tentoni la mano del suo nuovo piccolo fratello, riuscendo a stringergliela.

"Ciao Aidoneus" lo salutarono le altre due dee, due voci incorporee nel buio.

"Perché siamo qui?"

Estia sospirò "Non lo sappiamo"

"Quando potremo uscire?"

"Non sappiamo nemmeno questo" rispose Demetra, affranta.

"Ma sono certa che in qualche modo riusciremo a sfuggire dalla prigionia di nostro padre" disse Hera, convinta.

"Fino a quel momento, però, dovrai cercare di essere quanto più piccolo possibile perché non abbiamo molto spazio per crescere" lo avvisò Estia, paziente "Hai capito?"

"Sì" borbottò lui, scontento.

Il tempo passò ed esso portò all'aggiunta di un nuovo fratello nello stomaco di Crono. Cadde rovinosamente addosso ad Aidoneus e Demetra e ci volle qualche minuto prima che i tre dei riuscirono a sbrogliarsi. Il nuovo arrivato disse di chiamarsi Poseidone ed Estia si adoperò a spiegargli di rimanere di piccole dimensioni. E con lui ora erano a quota cinque e tutti si adoperarono per rendere la vita quanto più difficile possibile a Crono.


Il Titano cominciava ad accusare il peso dei suoi figli nel suo stomaco e di quanto, a mano a mano che se ne aggiungevano, cominciavano a diventare sempre più irruenti e intrattabili. Cercavano di risalire verso la bocca, senza successo, e tiravano calci e pugni a non finire, impedendogli di riposare. Quando seppe che Rea era rimasta di nuovo incinta fece una smorfia di disappunto: non sapeva se sarebbe riuscito a sopportare un sesto piccolo dio scalciante nel suo stomaco, ma non aveva scelta. Non poteva lasciare che quella profezia si avverasse, non poteva lasciare che uno dei suoi figli lo detronizzasse come lui aveva fatto con suo padre, Urano.

Venne poi il giorno che Rea espresse il desiderio, vicina al giorno del parto, di poter far nascere il piccolo in una grotta con l'aiuto della madre, Gea. Crono si stupì della richiesta, ma decise di concedere quell'ultimo desiderio alla sua sposa, a patto che le portasse il piccolo non appena fosse nato. In fin dei conti sarebbe stato il suo ultimo figlio.

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