La battaglia di Forgia Nera

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Thinuel planò sulla foresta, alcuni chilometri a sud-est dall’accampamento, lungo la sponda orientale del fiume Acquacheta, nei pressi della rocca di Forgia Nera. Lì, la ferita inferta dagli uomini alla foresta di Dunhe era più profonda e i danni sembravano ormai irreparabili. La terra aveva assunto un colore grigiastro, come se tutte le sostanze le fossero state risucchiate via in un colpo solo. Anche in questo gli uomini risultavano spietati, su quella terra non sarebbe cresciuto più neppure un filo d’erba, quello splendore di un tempo, ancora vivido nei ricordi di Thinuel, avrebbe presto lasciato il posto all’ennesimo insediamento, come era già accaduto altrove, lungo le rive di quello e di altri fiumi. Pensare a quella devastazione le infondeva sempre una tristezza così profonda che le straziava il cuore.

L’aquila dalle piume di perla virò e volò decisa verso la sua destinazione. Il castello era una costruzione tetra di pietra grigia e legno, che proiettava la sua ombra lunga nei vividi raggi del tramonto. Sulla cima delle torri quadrate, gli uomini avevano già acceso i fuochi di avvistamento, preparandosi così alla notte imminente. Il fatto che i metamorfi fossero nelle vicinanze non era certo un segreto per gli abitanti della rocca; le sentinelle degli uomini erano state alquanto indiscrete nei loro appostamenti, eppure i mutaforma avevano deciso di lasciarle operare indisturbate attorno al loro accampamento, la sorpresa non costituiva un elemento di vantaggio, almeno non in quella fase della missione.

Thinuel vide lo scintillio delle punte di freccia ancora prima che queste venissero scoccate e si preparò ad accoglierle. Schivò la prima e la seconda, la terza e poi la quarta, la quinta le diede qualche noia costringendola a scartare a destra dove già stava sopraggiungendo il sesto quadrello, che le sfiorò leggermente il piumaggio dell’ala, senza comunque arrecarle complicazioni. La pioggia di dardi continuò, obbligando Thinuel a una discesa più rapida, così da rendere più breve quella noiosa raffica che le sibilava intorno.

Atterrò sul camminamento delle mura abbandonando la sua essenza animale e ritornando la leggiadra creatura dei boschi che era partita dall’avamposto nel folto della foresta di Dunhe. Tutti gli arceri si defilarono lasciandole libero il passaggio, sgattagliolando via come topi di fronte al gatto, “miseri esseri abietti”, pensò. Ella non li degnò neanche di uno sguardo, ma proseguì incurante verso le scale.

Era la prima volta che si recava all’interno di Forgia Nera, tuttavia, quella rocca non era molto diversa dalle altre nelle quali si era recata nell’ultimo periodo, alla ricerca di un modo per fermare la distruzione che gli uomini stavano portando avanti a causa delle loro continue diatribe e della loro nefasta sete di conquista. Il suo istinto animale la guidava tra quelle mura. Riusciva a distinguere nettamente l’odore della paura che emanavano gli uomini in sua presenza e l’afrore più nauseante era solitamente quello del loro capo, sarebbe bastato seguire quel fetore, per raggiungere le stanze del signore di Forgia Nera.

Thinuel arricciò il naso, colpita dall’odore raccapricciante di carne cotta mista a aromi e spezie, il tutto annaffiato di idromele e birra. Ma l’unione di questi effluvi non riusciva neanche lontanamente a sovrastare la puzza degli umani. Svoltò a destra e imboccò un ampio corridoio decorato con teste di animali imbalsamate, appese alle pareti come trofei. Si era trovata altre volte in mezzo a simili spettacoli agghiaccianti e ogni volta aveva provato lo stesso ribrezzo per quegli esseri che erano stati capaci di tanta efferatezza. Si sforzò di proseguire, continuando a seguire la sua pista.

Lungo il corridoio incrociò due servi che portavano da bere. Quando questi si accorsero della sua presenza si appiattirono contro le pareti, diventando essi stessi parte dell’arredamento, come altri macabri trofei di caccia.

Arrivò davanti alla porta della sala dove era stata servita la cena, entrò e all’interno si scatenò immediatamente il panico: ogni persona in quella stanza l’aveva riconosciuta e aveva nettamente paura di lei. Non tanto perché potesse fare loro del male, quanto per la sua natura magica.

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