18. Caduta

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La ragazza castana era seduta a gambe incrociate nella classica posizione del loto. Aveva gli occhi chiusi e l'espressione distesa. Griffen seduto di fronte a lei la osservava in silenzio, come se non avesse davvero altro da fare al mondo, se non guardarla meditare.

Lui era identico ad ora, ma l'abbigliamento della ragazza tradiva il fatto che si trovassero nel passato, probabilmente di una ventina d'anni.

Ne avevo davvero abbastanza di questi strani sogni e in più mi rendevo conto che ciò che stavo osservando mi riguardava anche se indirettamente. Non potevo fuggire- solo osservare -e io osservai rapita la ragazza che mi somigliava singolarmente: era molto più bella però, sul suo viso una dolcezza che non mi era mai appartenuta. Mamma.

Griffen si avvicinò leggermente, sporgendo il busto in avanti, l'espressione lievemente ansiosa: mia madre aveva iniziato a tremare pur rimanendo con gli occhi chiusi.

"Anne".

Conoscevo il suo tono: fermo, chiaro in quel suo modo che ti faceva capire che ti stava dando un ordine pur non rendendosi sgradevole.

Mia madre spalancò gli occhi, fissando Griffen in un modo strano. Lo guardò lievemente stupita, poi le sue labbra si distesero in un sorriso malinconico.

"Cosa hai visto?", chiese teso, non staccandole gli occhi di dosso. Mi ricordava tanto il modo in cui a volte guardava me.

Mia madre deglutì, preda di una visibile emozione. "Ho visto... L'essere più importante delle nostre esistenze".

Griffen si scostò indietro, preso in contropiede. "Che intendi? Chi?".

L'espressione di mia madre si incupì e abbassò lo sguardo. "La incontrerai presto, presto per te...".

Griffen allungò una mano con la palese intenzione di afferrare la sua, ma lei si ritrasse. Si osservarono immobili e guardinghi per un lungo istante, dopodiché mia madre trasalì e si voltò osservandomi dritto negli occhi, come se potesse vedermi realmente. "Svegliati!".

Tornai alla realtà in un bagno di sudore. Nella mia testa un frastuono di avvertimenti incomprensibili. Il panico invase ogni minuscolo frammento di me e senza pensarci mi buttai giù dal letto atterrando in piedi e con l'adrenalina che scorreva impetuosa nelle mie vene. Mi voltai verso il lato in cui dormiva Luc, ma ricordai che l'avevo mandato via la sera precedente. 

Aprii il cassetto del mio comodino e presi il coltellino, estraendo la lama; mi avvicinai furtiva alla lampada e tentai di accenderla, ma anche se provai un paio di volte la luce non si accese. Merda. Le cose vanno male, molto, molto male.

Nello stesso istante la porta si aprì e nonostante avessi il sentore che fosse Griffen non mi feci trovare impreparata: mi nascosi dietro lo stipite e nel momento in cui balzavo per tagliare la gola al presunto intruso, la sua voce giunse cristallina alle mie orecchie. "Sono io".

Sospirai e abbassai la lama. Lo vidi osservare il fatto che fossi vestita e annuire come se avessi fatto qualcosa di geniale. Semplicemente la sera prima ero troppo incazzata con Luc e mi ero buttata sul letto così com'ero.

"Griffen, sta succedendo qualcosa".

Lo vidi annuire nel buio della mia cella. "Quanto è brutto?".

Chiedeva a me? Cercai di schiarirmi la voce, fallendo miseramente. "Molto".

"Dannazione", imprecò sottovoce. "Dobbiamo uscire di qui".

Ci sto, accidenti se ci sto.

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