epilogue

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"Non ho nessun responso da parte dell'entità Cataract." sentenziò Jarvis, riecheggiando in ogni angolo della sala meeting del Compound.

Mi coprii il viso con le mani, lasciando che i gomiti scivolassero in avanti sul tavolo. "Modifica quel nome, Jarvis." mormorai, ma ero certa che mi avesse sentito lo stesso.

"Certo, Caporale. Come vuole che lo modifichi?"

"Visione."

"Devo avvertirla, Caporale, che—"

"Visione." ripetei, mettendomi nuovamente seduta composta.

"Eseguo." concluse Jarvis, ma ero certa di aver sentito una nota d'irritazione nella sua voce metallica.

Chiusi i fascicoli aperti davanti a me e sospirai. Un altra mattinata sprecata in ricerche infruttuose.

Cercavamo Visione, o White Vision, o come diavolo volete chiamarlo, da giorni. Nessuna traccia di lui, da nessuna parte. Mi iniziavo a domandare se per caso non si fosse strappato i circuiti dalla disperazione, perché di certo era qualcosa che avrei fatto io in quelle situazioni. Era privo di identità. E quella sensazione la conoscevo.

Feci un cenno con la mano e gli schermi olografici sparirono. Rimasi a fissare l'enorme finestra per qualche attimo. Poi, mi riscossi e decisi di guardare l'orologio. Le nove e cinque. Mi alzai pigramente e recuperai la montagna di fogli che avevo preso dall'archivio, tenendoli in equilibrio sull'avambraccio mentre prendevo anche la tazza di caffè e il tablet. A piedi nudi sul pavimento gelido, mi feci strada verso la mia stanza.

Il Compound era triste e silenzioso, quella mattina di metà settembre. Natasha era tornata in Russia per sbrigare non so quale faccenda, Thor e Loki erano in giro per lo spazio, Clint era con la sua famiglia. Eravamo rimasti in pochi, ma ci vedevamo raramente lo stesso.

Mi scivolò l'iPad di mano, seguito poi dalla tazza. Imprecando, ruotai il polso di scatto e fili blu interruppero la caduta dei fragili oggetti. Questi ultimi fluttuarono al mio fianco, seguendomi anche mentre ripresi a camminare.

La padronanza dei miei poteri stava migliorando di giorno in giorno e, purtroppo, mi toccava ammettere che era tutto grazie a Strange. Così come Wanda, passavo ore al Sanctum Sanctorum a leggere libri antichi, praticare le arti magiche, bere the che avrebbero dovuto aiutare nella meditazione. A malapena partecipavo nelle missioni.

Il mio mondo era caduto in un improvvisa routine monotona e le distrazioni erano state minimizzate.

Qualcuno mi spinse. Persi l'equilibrio e anche i fascicoli si diressero pericolosamente al suolo. Tenendo gli avambracci piegati, allargai appena le braccia, bloccando anche la caduta di questi. "Maledizione." borbottai a bassa voce.

"Potresti farli levitare un po' più in alto quei cosi?" sbuffò Easton. "Sono inciampato nel tuo dannatissimo... com'è che si chiama?"

"Quando te ne vai dal Compound?" replicai solamente, voltandomi verso mio fratello.

"Per fare? Guarda che io nel mondo non ci torno." rispose ostinato.

Alzai gli occhi al cielo e mi rimisi sui miei passi. "Certo, e continuerai a fare il segregato qui dentro per altri settant'anni? Non se ne parla."

"Perché, non posso?" incrociò le braccia al petto, recuperandomi e camminando al mio fianco.

"No. Sono tua sorella, e mi preoccupo per te; vederti vagare per questi corridoi come un'anima in pena non ti fa bene." sentenziai, chiamando l'ascensore.

"E cosa t'importa di quello che faccio io?"

"A te è sempre importato di quello che faccio io, posso avere cura di te per una dannata volta?!" esclamai mentre le porte dell'ascensore si aprivano, alzando le braccia al cielo.

Mio fratello non rispose, ma fissò qualcosa alle mie spalle. "Zelda."

Avevo dimenticato di essere nei pressi dell'armeria nord. Sospirai, rilassando i muscoli e qualunque cosa avessi evocato cadde a terra. Ruotai appena il busto: coltelli. Circa una ventina. "Scusa." sussurrai, abbassando il capo.

"Che cosa ti ha detto Doctor Strange al riguardo?" mi chiese Easton col suo tipico tono di voce premuroso.

"Che le fluttuazioni di gravità sono normali ora che ho sbloccato il mio pieno potenziale," ripetei a pappagallo le sue esatte parole. "Che devo stare molto attenta a come mi comporto, o posso mettere seriamente in pericolo qualcuno."

Quello era il vero motivo per cui non partecipavo più alle missioni. E mi stava distruggendo. Sapere di poter uccidere un mio compagno di squadra solo perché ero in disaccordo con lui, oppure avere paura di alzare il tono di voce, perché come in questo caso avrei potuto evocare armi da puntare contro al mio interlocutore.

"Caporale, la squadra è di ritorno." annunciò Jarvis.

Dovevo rimettere a posto quel caos prima che lo vedesse anche Bucky: mi avrebbe fatto la solita paternale.

"Tu porta queste cose in camera mia, io porto questi nell'armeria." proposi, alzando l'altezza di levitazione di tutte quelle cose che mi portavo dietro da svariati minuti.

Easton le prese al volo. "Posso guardare nei vostri cassetti?" aggiunse poi, sorridendo sornione.

Alzai un sopracciglio e spostai la mia attenzione sui coltelli, che presero a levitare con le lame rivolte verso il basso. "Nel mio sì - tanto troverai solamente mutande e calzini - ma non frugare in quelli di Bucky."

"Così mi metti la curiosità, però!" si lamentò East, sbuffando divertito.

"Peggio per te." accennai un sorrisetto e mi incamminai verso l'armeria.

Pregai che i miei amici e il mio ragazzo riportassero buone notizie riguardo la ricerca di Visione. Doveva tornare in nostra custodia. A tutti i costi.

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