Episodio 3.

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Krak krak krak krak

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Krak krak krak krak...

Il rumore di un violento sfregamento non finiva da un pezzo e una bambina dalle lunghe trecce rossicce con un perenne rivolo di sangue che le colava dal naso graffiava imperterrita la superficie del pavimento di una stanza, la quale era umida e fredda.
L'ideale per chi soffriva di epistassi, no?

Non aveva la più pallida idea di come fosse finita lì, ma la bimba era decisa a scavarsi una via di fuga sottoterra con le sue stesse unghie. Letteralmente.

Il sangue che partiva dal naso della bambina gocciolava sul pavimento, e ora davanti ai segni di graffi c'era una piccola pozza di colore rosso falun.

La stanza aveva le pareti incrostate di sporcizia, e la puzza non mancava; l'ambiente era di un desolante e cupo blu. Di mobili neanche l'ombra.

C'era una porta, nella stanza, dall'aspetto invalicabilmente massiccio, ed era sopraelevata: una cresta di luce celeste s'insinuava nelle quattro pareti da sotto la fessura.

Improvvisamente le scoppiò un forte mal di testa, e si sorresse il capo con entrambe le mani, digrignando i denti per il dolore lancinante.

Ma com'era possibile un malore così forte e improvviso?

Il ventaglio di luce fu squarciato da un'ombra, che emanava un suono simile a delle fusa.

WHOOOP

Con un sospiro di vento, un cucchiaio grande come una pala fu introdotto nella stanza, e finì davanti alla bambina.

Lei lo fissò con i suoi occhietti cisposi, prendendolo e rigirandolo tra le dita: era un oggetto esterno, quindi c'era una remota - remotissima - possibilità che vi fosse nascosto un indizio su come evadere. Oppure era solo un semplice cucchiaio che era capitato lì tramite uno spiffero.

Il suo raziocinio e la sua parte bambinesca si scontravano nella propria testolina per prevalere. Il primo sosteneva di lasciar perdere l'oggetto e fare finta di nulla, anche perché poteva benissimo essere l'esca per la trappola del proprietario dell'ombra; la seconda le urlava di prendere quel dannato cucchiaio e di filare a scavare una via d'uscita sottoterra.

Con un forte mal di testa e la tentazione di attingere a quel dono per ottenere una tanto agognata libertà... che fare?

Che fare..?

Le scoppiava la testa!

Che fare..?

Quell'ombra non le piaceva...

Che fare..?

...E tantomeno il suo ignoto proprietario...

Che fare..?

...Tuttavia, non le aveva ancora fatto del male...

Che fare..?

...O almeno, non per il momento... Ma...

Che fare..?

...Se voleva restare in vita...

Che fare..?

...Doveva innanzitutto uscire da quella stanza.
Questo era il suo primo punto fermo.

Impugnò con più forza il manico del cucchiaio, e si mise a scavare con rinnovato vigore.

Il tempo scorreva fluidamente, ma alla bambina sembrò che esso si fosse fermato, bloccandola in un limbo di semi-reclusione.



Il cucchiaio era ormai consumato, e il tunnel della bambina non era neanche lontanamente concluso. Lo gettò a terra dopo essere risalita in superficie.

WHOOOP

Puntualmente un altro dannato chucchiaio fu spinto da lei con un sospiro.

In tal modo accadde diverse altre volte, e man mano che la galleria procedeva, il cucchiaio veniva mandato direttamente dall'entrata. Alla bambina non interessava più neanche l'ombra-che-faceva-le-fusa, la quale adesso la osservava dal buio della stanza stessa, e lei era in tal modo arrivata al punto di non ritorno.

Orrendo, vero?

Passò un periodo lunghissimo e cortissimo a un tempo, e la bambina dalle lunghe trecce rossicce ancora scavava.

Finché...

CRASH!

Il cucchiaio infranse una superficie: il tunnel era compiuto!

La bambina gioì ed esultò internamente per quel primo passo verso la libertà.

La bambina si guardò intorno, strofinandosi il viso col dorso della mano per ripulirsi dal sudiciume alla bell'e meglio.

Era finita in una stanza piena di cucchiai grandi come pale, ma tutti piegati, sporchi e consumati, tant'è vero che di alcuni restava solo il lungo manico.

Poi vide un altro buco nel pavimento e constatò: quella stanza era il punto di partenza.
La bimba non era andata da nessuna parte.

Il mondo le crollò addosso, e percepì la schiacciante realtà come una doccia fredda. Abbandonò le mani lungo i fianchi, spalancando gli occhi cisposi.

Poi la porta si aprì - o era già socchiusa?

Essa dava su un corridoio gigantesco in termini di altezza, larghezza e profondità. Di fianco alla porta dove stava lei ce n'erano altre, identiche, poste in fila a intervalli regolari, fino ad arrivare a un vicolo cieco sulla sinistra e ad una deviazione a destra sulla medesima direzione. Le mattonelle sul pavimento erano quadrate, di un bel colore verde acqua, mentre le piastrelle sulle pareti erano rettangolari e color blue jeans. Sulla parte superiore dei muri c'erano delle corte lampade al neon che mandavano una luce flebile, fredda e intermittente.

La bambina si avvicinò alla curva di destra, guardando con la testa sporta la prossima frazione di corridoio da attraversare: non c'era nessuno.



Ormai vi starete chiedendo dove fosse finita la bambina con l'epistassi, e la risposta sarà presto detta: lei era finita nell'ospedale della Città Pallida.
La struttura era abitata dai Pazienti, creature immonde a cui mancavano parti del corpo, e che erano disgustate dal proprio aspetto; perciò chiedevano al loro adorato Dottore di aggiustare il proprio aspetto monco.
Il Dottore era un essere deforme e grottesco che strisciava sui soffitti e rattoppava i corpi dei Pazienti con protesi simili ai pezzi delle classiche bambole snodate.

La bambina non lo udì arrivare finché non fu troppo tardi, e solo allora imparò ad adorarlo.





















Angolo autrice

E finalmente siamo passati dalla foresta al centro urbano di Raccoon City- ehm, volevo dire della Città Pallida.

Specificazione: l'ombra-che-fa-le-fusa è il Dottore.





-Riyuu







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