Cacciatrice o preda?

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Alexander non aveva avuto alcuna intenzione d’interagire con la strana ragazza dal cappotto rosso, ma dall’istante in cui quell’effluvio così ferocemente familiare lo aveva condotto a lei e dopo la macabra scoperta del cadavere dilaniato da morsi troppo simili a quelli che tante volte aveva già visto, non riusciva a togliersela dalla mente, era come un tarlo, sempre là a pizzicare le corde del suo inconscio e della sua memoria. Quella che solo due giorni prima sarebbe stata nient’altro che un ombra al limite del suo specchio visivo, ora era chiara come la luna in una notte senza stelle, un crescente interesse si era radicato in lui e prosperava di minuto in minuto.

Quando due sere prima aveva raccolto il cellulare tra il fango e le foglie, aveva semplicemente pensato di farlo sparire, non voleva che qualcun altro lo trovasse, magari qualcuno che era stato lì quando il cadavere era ancora una ragazza viva, e che, forse, non se n’era mai andato.

Sapeva che per lui, e non solo, sarebbe stato più prudente andarsene, ma si disse che doveva scoprire qualcosa in più su quella ragazza e sull’omicidio prima di allertare tutti gli altri, dopotutto sarebbe stato sconveniente gridare all’incendio per un fuoco di paglia.

Erano ormai due giorni che la pedinava confondendosi tra le ombre, grazie alle informazioni che aveva trovato nel cellulare era stato facile trovarsi vicinissimo a lei senza farsi notare. La maggior parte della persone non pensa a quanti dati ogni giorno affida inconsapevole a uno strumento tanto facile da manipolare.
Basta pensare solo a quante volte si apre una qualsiasi app sul meteo che subito diamo il consenso a quell’insignificante scatola elettronica di conoscere con esattezza il punto preciso in cui ci troviamo.
Ma scoprire dove viveva non aveva implicato l’uso del cellulare, era stato semplice, era bastato un pedinamento alla vecchia maniera.
Quando era uscita dalla stazione di polizia, lui era là; era rimasto ad aspettarla poco distante per tutte e due le interminabili ore, ovviamente non aveva potuto assistere a niente di quello che era successo all’interno del commissariato, quindi non sapeva cosa la polizia sospettasse o meno, ma di quello si sarebbe occupato più tardi una volta rientrato a casa, ciò che lo premeva ora era sapere di lei, non si sarebbe mosso di lì senza prima vederla, quindi entrò nel bar di fronte e si posizionò nell’unico tavolino con la visuale sulla strada e aspettò.

Quando la ragazza era uscita dalla stazione di polizia sembrava immensamente più piccola mentre si stringeva nel suo cappotto rosso e tirava su il cappuccio talmente ampio che le ricadeva sugli occhi nascondendole metà viso.
Dietro di lei era uscito un uomo che Alexander conosceva fin troppo bene per via di una vecchia inchiesta che lo vedeva incriminato per una rissa finita male, il detective lo aveva assediato convinto della sua colpevolezza, ma senza le giuste prove, era stato costretto a lasciar perdere, anche se di certo non si era scordato di lui. Se quella spina nel fianco di Jansen era intenzionato a scortarla fino a casa per lui sarebbe stato decisamente più difficile attuare il pedinamento. Quell’uomo era come un perfetto cane da caccia, se fiutava una traccia non mollava, e visto che era paranoico quasi quanto lui, individuarlo, anche solo per caso, nelle vicinanze alla cosa più simile a un testimone che aveva per l’omicidio, non lo avrebbe fatto apparire innocente. Non alla sua mente sempre in cerca di cattivi da catturare.
Per fortuna lei, come lui aveva già intuito vedendola muovere la testa in senso di negazione, non aveva accettato l’invito del detective che l’aveva lasciata sola nella via un attimo dopo, evidentemente aveva qualcosa su cui lavorare e non aveva insistito oltre.
Che razza di uomo lascia sola una ragazza dopo lo shock che aveva certamente subito, glielo si poteva sentire addosso persino a distanza.
In Lui iniziò a crescere qualcosa simile a senso del dovere e una voglia irrefrenabile di proteggere che era nel suo naturale temperamento, ma ora c’era qualcos’altro che lo strattonava da dentro e lo implorava di inseguirla e assicurarsi che stava bene. Lei non sembrò nemmeno accorgersi del grosso motociclista che la pedinava a distanza, continuando a tenere a mente ogni suo spostamento sino alla fermata del tram, qui aspettò solo pochi istanti prima di entrare nel mezzo blu che l’avrebbe portata a destinazione. La moto nera rincorse la scia del tram per otto fermate senza mai perdere di vista quella macchia rossa. Avevano superato di qualche chilometro il Parco dove era avvenuto il macabro incontro con la morte quando lei scese dal mezzo pubblico, evidentemente non abitava molto distante.
Alexander lasciò la moto davanti a un negozio di dischi, e con indifferenza continuò a seguirla a distanza mentre percorreva un viale alberato, la via portava il nome di un artista del rinascimento italiano e finiva in una piccola piazza rettangolare con al centro un giardino e al limitare di questo una chiesetta in mattoni rossi che era l’unico edificio del piazzale a non confinare con nessun altra costruzione. Mentre una serie di case lunghe e strette si rincorrevano appoggiandosi una sull’altra come pedine del domino facendo da perimetro al rettangolo.
La prima di queste case, esattamente quella ad angolo con l’unica via d’accesso alla piazza, era anch’essa una palazzina di tre piani lunga e stretta con il tipico tetto a guglie, bianca con le imposte alle finestre, la porta rosso papavero e una pianta rampicante, senza alcun dubbio rose, che ne copriva gran parte della facciata al piano terra, ed è qui che lei abitava. Lui l’aveva vista sparire dietro il portone cremisi ed era rimasto un po’ là nascosto dalle ombre ad osservare, aveva aspettato mentre le finestre s’illuminavano, una dopo l’altra come in sequenza la luce elettrica aveva reso vivo l’intero appartamento e lui poteva seguire l’ombra di lei che si muoveva di stanza in stanza sino a fermarsi al piano superiore, in fine era rimasta una sola finestra illuminata, quella più in alto, ad indicare che lei era là.

Aveva faticato per auto convincersi a lasciare la sua posizione, ma alla fine si allontanò, riprese la moto e la via di casa.
Quella sera però Alexander Vanglare non rientrò nella villa di famiglia che divideva con i suoi fratelli, non aveva voglia di affrontarli, non aveva voglia di parlare di quel macabro ritrovamento, della ragazza e dei suoi sospetti. Soprattutto non voleva parlare del motivo che l’aveva spinto a pedinarla.

Così si trascinò nel suo porto sicuro, una stanza che aveva affittato soltanto per se e che si trovava all’interno della red light, sopra una birreria che comprendeva al suo interno una sala dedicata allo spettacolo per soli uomini, dove brave ragazze si spogliavano e danzavano per maschi allupati sempre pronti a donare loro l’intero stipendio, il posto ideale se si voleva restare anonimi tra la folla.

Una volta nel buio della sua stanza, si era sdraiato sul materasso che poggiava direttamente a terra sulle assi di legno del parquet riscaldato. Tirò fuori il cellulare della ragazza dalla tasca della giacca in pelle, dove l’aveva tenuto per tutto il tempo, e schiacciò il bottoncino laterale e lo schermo prese vita, aveva deciso di passare la notte a scoprire tutto il possibile sulla ragazza dal cappotto rosso. Sbloccare quel telefono non era stato difficile nemmeno la metà di quel che si era aspettato, usare come pass una serie di linee continue che formavano un triangolo non era il massimo della sicurezza, la sua ingenuità lo fece sorridere, la proprietaria di quel cellulare non era nemmeno lontanamente paranoica la metà di chiunque lui conosceva.
La batteria era quasi del tutto carica e l’ora sul display segnava le dieci passate da sette minuti, ma non era questo che lo aveva fatto saltare in piedi con tutti i sensi in all’arme, una fitta come di corrente elettrica gli aveva attraversato l’intera spina dorsale mentre si ritrovava a fissare due occhi azzurro cielo che erano parte dei suoi incubi da molto, molto, tempo.
Alexander non era pronto a questo, non lo sarebbe mai stato, ma la sua mente tornò immediatamente nelle viscide profondità del buco nero dove credeva di aver rinchiuso a chiave quei ricordi tantissimo tempo prima, ma eccolo vagare ancora una volta in quella maledetta foresta nel freddo gelido dell’inverno alsaziano.

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