Fantasmi nella testa.

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  Alsazia, Foresta Nera 1892

  Un attimo prima c'era solo il silenzio rumoroso del bosco e un attimo dopo il nulla, solo lei.
Occhi azzurri come il cielo d'agosto, così azzurri da risplendere di una strana luce tra le ombre scure degli alberi, la sua figura immobile come un animale che fiuta l'aria in cerca di pericolo, circondata da una mantella color del sangue che in contrasto con il viso pallido la faceva assomigliare a un fantasma.

Sapeva chi era, o meglio, cosa era, quella mantella rossa foderata di pelliccia grigia non lasciava spazio ad inutili congetture, era una cacciatrice di lupi ed era li per lui.
Aveva solo due possibilità: o correre via, o attaccare.
Ma quegli occhi, quegli straordinari iridescenti maledetti occhi azzurri, lo tenevano in trappola.
Non avrebbe fatto un passo per scappare nemmeno se fosse stato certo della sua fine, e non avrebbe attaccato, anche se non esisteva essere umano che poteva competere con la sua bestia, non avrebbe sollevato un artiglio, era disarmato davanti a lei, lo era sempre stato.
Lei era la sua maledizione.

Sollevò in alto la testa, fiero come suo padre gli aveva insegnato ad essere, e respirò l’aria gelata intorno a lui. Ma l’unico odore che percepiva era quello del sangue, sangue fresco e denso. Poteva sentirlo su di lei, era lo stesso che sentiva su se stesso.

La ragazza gli andò incontro facendosi scivolare il cappuccio giù dalla testa, scoprendo così una massa di capelli neri come la notte scompigliati dal vento che sferzavano l’aria come fruste. Nella mano sinistra stringeva una lunga lama argentata sulla quale si distinguevano macchie cremisi, ma che ora sembravano nere.
Lui si scostò dall'albero allontanandosi dalla sicurezza dell’ombra che lo aveva tenuto nascosto sino a quell’istante e si fece avanti, la mano destra ben premuta sulla ferita tra le costole, niente di vitale era stato reciso, ma il sangue non voleva saperne di smettere di sgorgare.

Strinse i denti, ma nessun altro segno sul suo viso avrebbe rivelato dolore.
Si avvicinò il tanto da sovrastarla con la sua altezza, ora la cacciatrice avrebbe dovuto sollevare lo sguardo di venti centimetri buoni per poterlo scrutare negli occhi, ma non sollevò la testa nemmeno di un centimetro, continuò a guardarlo fisso nel petto, a quanto pare non aveva alcuna intenzione di osservare nient’ altro che la grossa macchia rubino che si allargava inzuppando la camicia. Allungò la pallida mano bianca, intenzionata a toccarlo proprio sulla ferita aperta, forse intenzionata ad esaminare affondo il suo capolavoro di macelleria, ma lui non glielo permise, le blocco la mano sospesa davanti al suo petto, a un centimetro dallo sfiorarlo.
Era convinto che ora avrebbe preferito staccarle quelle incantevoli dita una ad una piuttosto che farsi toccare una sola volta ancora.
Ma si era sbagliato, anche se la testa lo continuava a mettere in guardia, si scoprì desideroso di sentire il calore della sua mano un ultima volta.
E anche se gli avrebbe stracciato via la carne col suo lungo coltello si porto la mano della ragazza al centro del petto e disse qualcosa che non credeva potesse mai dire:

<<Puoi toccarla se vuoi, dopotutto è opera tua cacciatrice, un’opera di grande precisione tra l'altro!>>

Alexander sentì l’amaro in bocca e il fiato rarefarsi, gli mancava l’aria tra una parola e l'atra, ma non lo lascio intravedere, la sua espressione era stoica, era sempre stato un bravo giocatore, sapeva mentire bene con gli occhi, non gli mostrò niente, n'è il dolore n'è la compassione quando lei iniziò ad irrigidirsi ed adombrarsi. Pensava che il suo ego avrebbe goduto nel vederla sussultare di orrore davanti alla ferita e alle sue parole di scherno, pensava che veder diventare la sua pelle ancora più bianca lo avrebbe fatto gioire, ma la verità è che non provava compiacimento, solo tristezza e rimpianto per quello che non era stato e che poteva potuto essere.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 06, 2023 ⏰

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