CAPITOLO III: PICCOLO AIUTO

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«Posso sapere che cosa c'è di tanto urgente?». Un alto uomo dalla scura chioma e folta barba alzò il capo verso colui che aveva posto tale domanda. I suoi occhi si assottigliarono quando quelle iridi nere come la pece si posarono sulla robusta figura di un ragazzo. L'individuo lo squadrò da capo a piedi. Il cappuccio di una spessa felpa bianca ricadeva sul capo del giovane, riscaldandolo dall'aria gelida che vi era all'esterno; i pantaloni neri ne fasciavano le gambe robuste ed una sciarpa grigia copriva metà del suo viso. L'unica cosa che l'uomo poteva vedere erano due taglienti occhi verde scuro che lo scrutavano freddi e diffidenti. Non era il loro primo incontro, ma nessuno dei due osava porre troppa confidenza verso l'altro.

L'alto individuo si avvicinò ad una cassa di legno vuota, su cui vi era appoggiata una valigia ventiquattrore rigorosamente nera, inserì il codice e l'aprì. Al suo interno recuperò dei fascicoli e tese la mano in direzione del giovane. Quest'ultimo si avvicinò a passo svelto e strappò i fogli dalle mani inguantate dell'uomo. Parole trascritte con inchiostro nero su quelle pagine bianche nascondevano una verità che il ragazzo sperava di mantenere celato ancora per un bel po'.

«Merda», sussurrò il giovane poggiando la schiena contro uno dei pilastri del deposito.

«Ho cercato di fare il possibile, ma sono arrivati prima di me», lo informò l'uomo avvicinandosi a lui, «Faresti meglio a lasciare lo Stato questa notte stessa. Sanno che sei qui. Ci metteranno poco a sguinzagliare i loro cani e sai cosa ti accadrebbe se ti trovassero», continuò.
«Lo so bene. E' solo che...credevo...di poterlo evitare o, perlomeno, di tenerlo nascosto ancora per un po'», affermò il giovane stringendo la presa sui documenti.

«Sai meglio di chiunque altro che la verità non può rimanere celata troppo a lungo».

«Lo so», ribatté semplicemente il giovane con tono abbattuto, dopodiché passò i fascicoli all'uomo al suo fianco ed iniziò ad incamminarsi verso l'uscita del magazzino.

«Quale sarà la tua prossima meta?». Il giovane arrestò la sua camminata. Voltò appena il capo all'indietro ed i suoi occhi, taglienti come lame, si soffermarono su quelli neri dell'interlocutore. Non disse una parola, ma quel silenzio tombale fu sufficiente a far capire all'altro uomo che null'altro sarebbe stato rivelato.

L'aria gelida, anziché diminuire come affermato dalle notizie meteo, aveva aumentato la sua forza. Ululati sinistri si librarono in aria, le grida agghiaccianti del vento graffiarono le orecchie del giovane. Una forte folata fece scivolare il cappuccio della felpa all'indietro. I suoi capelli neri vennero scompigliati dalla forza del vento ed egli, pur di evitare che gli andassero davanti al viso, fece scivolare una mano tra quella folta chioma corvina ed iniziò a correre verso la propria auto. O perlomeno, quello era l'intento. Un ringhio sommesso giunse alle spalle del giovane, il quale, si raggelò sul posto.

«Porca vacca!», sussurrò appena, mentre l'ansia ed il terrore presero piano piano possesso delle sue membra. Si voltò lentamente verso l'origine del rumore e con orrore capì che le sue paure si rivelarono fondate: un'orso dall'imponente stazza lo stava osservando famelico.

"Cazzo".

Non doveva muoversi, né tantomeno fare mosse avventate. Non senza un buon piano, s'intende. La sua auto era a pochi passi da lui, con uno scatto veloce sarebbe riuscito a mettersi al volante. Sarebbe stato semplice, sì, se solo non avesse avuto la brillante idea di chiudere l'auto. Prendere le chiavi dalla tasca della felpa...quale bazzecola diranno in molti. Prendi, apri e corri via, no? Vero, ma sfiderei chiunque a farlo con un orso ringhiante davanti che, per l'aggiunta, aveva iniziato ad avanzare. Lentamente il moro iniziò ad indietreggiare. Cercava di mantenere i battiti del suo cuore ad un ritmo moderato, i suoi respiri ad un movimento quasi impercettibile.

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