Capitolo 11

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L'azzurrino parcheggiò davanti alla Boston High School, scrutò la struttura dal finestrino prima di scendere dall’auto. Sospirò pesantemente, avrebbe dovuto parlare con le persone che più odiava: quei bulli prepotenti che si sentivano divinità scese in terra, come i faraoni dell'antico Egitto. Per di più, avrebbe dovuto evitare Christopher. Gli stava facendo solo un favore, se quella confessione era vera, non poteva permettere che soffrisse nel caso il cancro avesse avuto la meglio. Prese un profondo respiro e, appena varcò il cancello, giurò di sentirle addosso, quelle iridi color miele. Alzò lo sguardo, le pupille s’incrociarono per un secondo. Il fatto di dover parlare con loro andava solo a suo favore, sapeva che Christopher non si sarebbe avvicinato perché terrorizzato dai bulli, come lo era all’inizio nei suoi confronti.

«Chi non muore si rivede, Price», lo schernì Ronald Mitchell, il capo di quel gruppetto di idioti.

«È da un po' che non ti fai sentire», aggiunse Joseph Crosby, uno dei suoi scagnozzi. A guardarli sembravano uno stupidissimo cliché di quei film americani.

«Non ci sentiamo da quando vi ho dato quella lezioncina», ghignò divertito mentre estraeva una sigaretta.

Ronald sciocco seccato la lingua sul palato, mentre Dennis Gates coglieva la sua provocazione. «Mi sembri sciupato, vuoi una lezione?»

«Che lezione vorreste darmi? Siete delle capre», la accese ed inspirò il catrame del tabacco bruciato. Prima o poi avrebbe dovuto smettere, ma come avrebbe potuto farne a meno? «Se volessi qualche lezione entrerei a scuola», continuò a canzonarli.

«Pezzo di-», Joseph fece per aggredirlo ma Mitchell lo fermò.

«Sta calmo, Jo», lo richiamò. «Cosa vuoi, Price?»

«Ho bisogno di lavorare, siete a conoscenza di qualche lavoretto?»

«Perché mai dovremmo dirt-» provò a ribattere Gates, ma l’occhiataccia ricevuta da Ronald lo bloccò all'istante.

«Hai provato a chiedere nell’officina dei Thompson?», Victor si morse il labbro inferiore. Non negava di non averci pensato, ma avrebbe evitato molto volentieri di lavorare lì. Negò con il capo per poi riportare lo sguardo sul ragazzo.

«Hai altre idee?» chiese, ma il bullo rispose con un diniego del capo.

«Va bene, grazie.» tagliò corto, guardò di sfuggita il biondo che non aveva distolto lo sguardo nemmeno per un secondo, per poi fare dietrofront e dirigersi verso la propria vettura. Stava per aprire lo sportello ma, una mano bloccò la portiera. Alzò lo sguardo per trovarsi Chris, con quelle iridi ambrate, con il fiatone. La corsa per fermarlo aveva imporporato le gote del ragazzo.

«Vick», iniziò affannato, «Dobbiamo parlare». In risposta ricevette uno sbuffo seguito da un amaro sorriso.

«No, non dobbiamo.», lasciò la maniglia per voltarsi verso di lui, «Ascoltami bene, ti ringrazio per il supporto che mi hai dato questi giorni, ma penso sia meglio che ognuno vada per la propria strada.»

«Ti ho detto che mi piaci e tu cerchi di allontanarmi?!» chiese stupito, con misto di irritazione. Possibile che c’era rimasto così male? «Non scappare, accidenti! Mi dispiace per quello che è successo ieri, hai frainteso!»

«Non ho tempo per stare a sentire le tue scuse. Dimenticami e vai avanti», asserì lapidario per poi aprire la portiera, entrare nell’’autovettura e partire, lasciando White interdetto.

§

Christopher giocava con il cibo insipido della mensa, il viso appoggiato pigramente sulla mano. Sospirava sovrappensiero, i rumori intorno erano ovattati e sembrava che la cucina scolastica avesse preso interesse. Lo aveva allontanato, aveva fatto una stupidaggine e ne stava pagando le conseguenze. Victor non aveva voluto sentire ragioni, lo aveva zittito immediatamente. «Maledizione», sussurrò irritato.

E il tempo scivola viaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora