Capitolo 35

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I rumori dalla cucina rimbombavano nel silenzio della stanza. Victor, seduto sul letto, fissava la schermo del telefono ormai da diversi minuti.

Parliamo, per favore.

Da giorni non faceva altro che leggere e rileggere, fino allo sfinimento, fino ad imparare a memoria ogni singola lettera, quell’ultimo messaggio che gli aveva inviato Thomas. Le parole di Duke non facevano altro che ripetersi come sussurri nelle orecchie: Anche tu dovresti chiedergliele, Victor.

Ma voleva davvero ascoltarlo? Permettergli di giustificarsi, di spiegarsi? Era certo che con Duke ed Elisabeth avesse parlato, i loro sguardi erano diversi. Quest’ultima, aveva preso a salutarlo ogni mattina con un sorriso, mentre Duke sembrava turbato, appesantito. Il suo sguardo non era più leggero e sereno come prima, soprattutto quando lo incrociava nei corridoi. Avrebbe tanto voluto sapere cosa avesse detto loro.

«Testa di rapa è pronta la cena!» gridò Charlie, dalla cucina.

«Arrivo» sussurrò, a sé stesso. Lo zio avrebbe potuto sentirlo solo se avesse avuto un super udito. Spense lo schermo del cellulare, fece un respiro profondo e si alzò lentamente. Non aveva fame, non aveva alcuna voglia di forzarsi per l’ennesima volta per passare la notte in bianco a rigettare la cena nel water. Afferrò il berretto e lo indossò mentre si dirigeva in cucina trascinando i piedi.

«Sembri un criminale che si dirige al patibolo», lo punzecchiò lo zio con un sopracciglio alzato ed un sorrisetto furbo in volto. Aveva una mano poggiata sullo schienale della sedia, la tavola già apparecchiata per due persone, uno di fronte all’altro.

Il teppista sbuffò un sorriso, «E tu il boia con una crisi di mezza età». Faceva sempre più fatica ad utilizzare il sarcasmo per mascherare il suo malessere, si sentiva sempre più debole. Gli attacchi di tosse, per quanto sporadici, erano tornati a macchiarsi di rosso. Gli si sedette di fronte poggiando il telefono sul tavolo, sentendo gli occhi attenti dell’uomo perennemente addosso. Tenne il capo chino, evitando di incrociare il suo sguardo. Sapeva che questo suo comportamento lo stava facendo preoccupare, poté percepirlo dal suo lungo sospiro prima di servire e sedersi a tavola.

«Il boia non fa minacce, io si.» Osservò il nipote spostare controvoglia il cibo nel piatto e sbuffare.

A Victor saliva la nausea ogni volta che vedeva il cibo nel piatto dinanzi a sé. Lo fissava intensamente. Intatto. Inforcò una patatina e se la portò lentamente alla bocca, come se attendesse che l'uomo davanti a sé cambiasse idea all’ultimo momento e gli dicesse che non era costretto a cenare. Il silenzio che ne seguì si proteste per diversi minuti. «Vecchio, ti stai ricordando della felicità?» provò a chiedere, di punto in bianco. Ultimamente non sopportava i silenzi, gli ricordavano con prepotenza i corridoi degli ospedali e le ultime notti insonne. Gli ricordava l'appartamento vuoto prima che lo zio si trasferisse.

«Ci sto provando, ma è difficile.» oltre alla perdita di Leena, doveva affrontare anche quella recente di Hanna. Se per cercare di superare la mancanza dell’unica donna che aveva amato era fuggito in un’altra città, con la perdita di sua sorella non poteva farlo, non che scappare fosse servito ad evitargli il dolore. Ogni volta che guardava Victor, pensava a quanto gli somigliasse e a quanto la vita fosse ingiusta per far affrontare tutto questo ad un ragazzo che avrebbe solo dovuto iniziare a fare le sue prime esperienze, a vivere la sua adolescenza ed incamminarsi verso l'età adulta. Clark provava rabbia ogni volta che lo guardava vivere lo stesso calvario di Hanna prima di morire, verso chi fosse indirizzata, però, non lo sapeva. L'unica cosa che poteva fare era aiutarlo, nonostante quel testone cercasse di fare tutto da solo. «Invece tu hai lo sguardo di chi crede di non meritarla, la felicità.»

«La felicità può essere un atto egoistico?» sollevò gli occhi sul Charlie che si era fermato a fissarlo. Aveva toccato un tasto dolente?

«Dipende», la voce risultò più roca, titubante. «Non nel tuo caso, se è questo che stai pensando.» Bevve un sorso d’acqua per poi ricominciare a mangiare. Voleva aggiungere che a volte bisognava essere egoisti, che bisognava afferrarla la felicità senza alcun senso di colpa, ma morirono in gola. Dirlo ad alta voce avrebbe significato dirlo anche a sé stesso. Eppure, stava cercando di andare avanti e per farlo avrebbe dovuto ricominciare dal suo passato. «Sai, sono andato a trovare Bob», lo informò prima di prendere un boccone, per temporeggiare. «Ed ho incontrato quel cazzon— Thomas.» si corresse all'ultimo.

E il tempo scivola viaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora