capitolo 3º | la mietitura

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Il sole penetra dalla finestra e lascia che i suoi raggi si schiantino sul mio viso, infastidendo il mio sonno e riportandomi alla realtà dopo una lunga notte di dolci sogni.
In realtà è strano, che faccia sogni buoni in un giorno così schifoso agli occhi di tutti. Non li biasimo, è il giorno più temuto dell'anno non per nulla. È il giorno in cui senti la paura a mille, l'ansia e l'angoscia per gli adulti di perdere il proprio figlio, per i bambini di perdere le proprie sorelle, e per i ragazzi dai dodici anni ai diciotto per se stessi. È il giorno in cui la tua vita è appesa ad un filo, e basta una mano ben curata dalle unghie colorate e brillantinate che prenda quel filo e lo spezzi come nulla. C'è il tuo nome scritto su uno, due, tre, quattro e più bigliettini, a seconda di quante tessere hai preso, in quella boccia schifosamente pulita e lucida. Come se dovesse contenere chissà quale cosa stupenda e non i nomi delle persone che possono essere chiamate a fare la carne da macello per divertimento dei ricchi. Che cosa da vigliacchi, le tessere. Non mi capacito, ne ma mi capaciterò, dell'invenzione delle tessere. Sintetizzando sono dei bellissimi fogli di carta che ti permettono di mangiare cibi improponibili e disgustosi per un mese in cambio di che cosa? Del tuo nome su un altro bigliettino. Prendi due tessere? Allora tre bigliettini con il tuo nome per la mietitura. Prendi tre tessere? Allora quattro bigliettini con il tuo nome per la mietitura. Solo e unicamente per aumentare la paura nei ragazzi e le probabilità di essere scelti per morire. Chissà che bello dev'essere per i capitolini giocare così con noi e con i nostri sentimenti, a loro non importa della nostra paura ne delle nostre sofferenze. A loro non importa proprio un bel niente, solo e unicamente che moda va quest'anno e quali tra i mille piatti a disposizione possono scegliere per cena.
Ma io oggi non ho paura, neanche un po'. Sono due anni che mi alleno e nella boccia il mio nome c'è solo una volta, come quello di Sean. Sean e la mia famiglia sono le uniche persone a cui davvero tengo, e sinceramente per quanto mi dispiaccia che la gente muoia ogni anno, finché non sono la persone che amo a morire non mi faccio troppi problemi.
Tanto la fine arriva per tutti, il filo di ognuno di noi viene tagliato, ma io voglio salutare la morte come una vecchia amica, non come una rivale che mi strappa via la vita, la luce, l'anima.
Non ho paura. Non ho paura. Non ho paura. Continuo a ripetermelo mentalmente mentre mi alzo con calma scivolando fuori dal letto e passo dopo passo mi dirigo in cucina. Casa mia è di legno, come tutte quelle degli abitanti del distretto quattro. Però ora che vivo nel villaggio dei vincitori i piani sono tre e non uno, i bagni sono due e con le finestre, non uno e con una puzza nauseante, la cucina è grande e spaziosa e le camere da letto sono grandi e possono contenere di tutto. Sono quattro. Una per me, che è quella con la vista sul lago, una per i miei genitori che hanno scelto la matrimoniale con il letto a baldacchino dalle lenzuola color miele, e una per mia sorella che invece ha subito deciso che la sua sarebbe dovuta essere quella col soffitto alto e il lampadario di vetro al terzo piano. Schiaccio il legno sottostante con i piedi mentre cammino e gironzolo per la cucina spalmandomi un po' di marmellata sulla fetta di pane. È presto, così decido di preparare la colazione a tutti quanti.
Quando finisco di allestire la tavola per il pasto mattutino porto il mio corpo assonnato e puzzolente verso il bagno, dove lascio che i miei vestiti scivolino per terra e che le mani azionino il getto di acqua calda. Prima nella casa vecchia non c'era la doccia ne l'acqua calda e devo ammettere che è davvero rilassante e comoda. Passano dieci minuti ed è ora di uscire, lasciare asciugare i capelli e poi vestirsi.
Oggi voglio sfidare Capitol city nel mio piccolo, così decido di mettere i vestiti più scuri e sfacciati che ho.
Una maglietta nera con scollo a V che era di mia madre quando era giovane ed un paio di pantaloni vecchi e trasandati sempre neri che però mi danno un'aria aggressiva. Sono circa le sette e fra quindici minuti ci sarà scuola, così mi spazzolo i capelli ormai asciutti per poi raccoglierli in una coda di cavallo e mi infilo l'unico paio di scarpe che ho, nere anche queste.
Poi corro giù per le scale, prendo un pezzo di carta e lascio questo bigliettino sul tavolo: "oggi è una bella giornata, sorridi sempre, sorridi anche quando sei triste perché più triste di un sorriso triste c'è la tristezza di non saper sorridere" . Apro la porta e varco la soglia di casa, respiro una boccata d'aria e mi avvio verso la dimora di Sean che sicuramente starà uscendo esattamente in questo momento.

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