Part 1

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Vi ricordate la sensazione di casa? Quel posto dall'odore inconfondibile che ti si attacca addosso come per impedirti di andare via? Quel posto che ti fa sentire al sicuro e protetto dalle fiamme nere del caos della vita e che non abbandoneresti per nulla al mondo? Combatterei con tutta me stessa per averne ancora un po' indietro. Quel briciolo di secondo in cui racchiudere un respiro per sentire ancora quella sensazione di felicità.

Felicità, felicità, felicità.

Un emozione, di questo si parla. Di ciò che non più essere dimostrato fisicamente ma, nonostante tutto, riesce a rendere schiavo ogni essere umano.

Ho passato tutta la vita a cercare di capire il perchè del suo potere, il suo scopo. Ho cercato di ricordane almeno il suo effetto su di me riducendomi a pensare al mio primo amore delle elementari, Marco. Un ragazzino pieno di lentiggini, simpatico e molto gentile con tutti i compagni di classe per cui io avevo perso la testa. Poi il buio, un blackout. Da qui quel che ne è susseguito è stato solo il minimo sindacale di interazione umana nei confronti di questa nuvola di zucchero filato e paroline dolci. Si, ho frequentato dei ragazzi durante gli anni della scuola e anche all'università ma purtroppo sono sempre rimasta a dieci passi, anzi, cento da quel sentimento che non riesco nemmeno a pronunciare. Il reale motivo del mio comportamento riguardo quel "sentimento"  in particolare non lo so. Ho solo qualche idea che, però, mi fa tremare al solo pensiero di doverla esprimere ad alta voce. Questo, se non fosse per la mia amica Maria, ci siamo conosciute alla superiori e non ci siamo più perse di vista, lei è davvero il mio opposto. È una sognatrice e romantica, adora i film smielati tanto da vedersi a ripetizione Le pagine dalla nostra vita. Da quando siamo diventate amiche non fa altro che cercare farmi cambiare idea e devo dire che alcune volte è stata davvero convincente ma il suo effetto durava solo qualche giorno, il tempo di riflettere per convincermi ancora di più della mia idea.

Così quell'aria dolce di quella città profumata di ricordi chiamata Roma mi ha portato ad abbandonarla per sempre, a cercarne altra pulita e senza nessun condizionamento, senza passato e soprattutto senza ricordi.

Sono partita così, senza arte ne parte. Appena finita la specializzazione in ingegneria meccanica mi sono spinta verso altri orizzonti. Un giorno entrai in cucina con l'intento di farmi un caffè ma come al solito mi soffermai a guardare tutte le cartoline ricevute dai vari parenti e amici di famiglia. Una spiccava di più fra le tante, era grande, in bianco e nero, sopra c'era raffigurato l'Empire State Building. Dovevo andare a New York. Maria mi seguì qualche mese dopo, quando lo seppe non stette più nella pelle. Lei e la sua passione per il teatro ed i musical. Si era promessa di guardarsi ogni spettacolo che Broadway avrebbe presentato. Ci ritrovammo insieme, ancora una volta, lei ad insegnare recitazione in una piccola scuola di Manhattan ed io ad insegnare matematica al liceo.

Mi ritrovo ad osservare il cielo sdraiata sul prato di Bryant Park, le nuvolette bianche si muovono lentamente sospinte da un leggero vento, i bambini giocano a palla sotto il tiepido sole di fine settembre mentre le mamme sedute su una panchina sono intente a spettegolare su qualche collega di lavoro. La mia attenzione si posa prima sulla voce della donna seduta al centro, bionda con un filo di trucco ed un vestitino a fiori.

"Secondo me ci è uscita" afferma con sicurezza.

"Ma chi? Sarah?" domanda la donna sulla sinistra. Lei è leggermente più giovane delle altre, lo si capisce dal suo modo di vestire, indossa una semplice t-shirt e dei jeans.

"Lo sapevo!" afferma con forza la donna sulla destra alzandosi in piedi e battendo il suo tacco 15 sulla ghiaia. Quest'ultima è vestita di tutto punto, tailleur e tacchi, decisamente la più grande del trio. Tutta la scena mi fa sorgere un mezzo sorriso sulle labbra, erano davvero divertenti.  Se avessi avuto un bambino lo avrei portato qui solo per parlare con loro, forse.

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