00. Prologo

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brutal – Olivia Rodrigo

"Ma è possibile che piova così tanto?"

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"Ma è possibile che piova così tanto?"

Cleo sbuffò e cercò di ripararsi meglio sotto l'ombrello, nonostante gli scrosci d'acqua uniti al vento gelido rendessero l'impresa di rimanere asciutta più difficile del previsto. Se solo le avessero detto che sarebbe dovuta rimanere in università il pomeriggio si sarebbe portata qualcosa per pranzo e avrebbe evitato la passeggiata fino dal panettiere sotto un simile acquazzone, ma il professore si era dimenticato.

"Di certo non posso saltare l'esercitazione" pensò, guadagnando l'effimera protezione della tenda posta a copertura dell'ingresso del negozio. Osservò i pantaloni fradici fino al ginocchio con un sospiro. "Uno stronzo. Non era così complicato."

Dopo aver dato una decisa scrollata all'ombrello e averlo messo da parte, entrò al caldo e si mise in fila dietro a un paio di ragazze, pensando a ciò che aveva programmato per il pomeriggio. Forse sarebbe riuscita lo stesso a fare un salto in piscina, anche le sembrava improbabile a causa della mole di appunti da sistemare, ma di certo non avrebbe avuto tempo per chiamare Giulio e sentire suo padre per capire cosa fare il due, soprattutto visto che era il suo turno di fare le pulizie generali nell'appartamento – Neela sarebbe stata in grado di ucciderla, se solo avesse provato a dirle che non poteva.

"Che. Sbatti."

Dopo aver relegato i pensieri su ciò che doveva fare in un angolino della mente, Cleo lanciò un'occhiata alla varietà di pizze e piatti pronti disposti sul bancone, sentendo lo stomaco chiudersi in una morsa; l'idea della faticata che la attendeva le toglieva la fame, ma d'altro canto sapeva bene che non sarebbe rimasta in piedi a sola caffeina e cicche. Tuttavia, l'insieme non era affatto invitante: tra l'umido dettato dalla pioggia, il cibo ammassato a casaccio e l'aspetto unto e vecchio del locale era normale che a un qualunque essere umano passasse l'appetito. O almeno, doveva essere normale per lei, visto che le ragazze che la precedevano stavano comprando il pranzo per un reggimento.

Cleo arricciò il naso e, dopo un ultimo attimo di indecisione, stabilì di puntare su una focaccia condita con dei pomodorini e un buon cappuccino delle macchinette del dipartimento di matematica per affogare i dispiaceri; per cena avrebbe poi pensato a qualcosa di più salutare – come sperava avrebbero fatto anche le studentesse che avevano appena finito di pagare.

"Ciao! Dimmi tutto" le disse il commesso appena le altre si furono spostate.

Rapida, gli comunicò ciò che voleva, aggiungendo che sì, grazie, le andava bene scaldato, e appoggiò i tre euro del pagamento sul bancone.

"Col freddo venuto giù..." commentò l'uomo, infilando la focaccia nel forno. "Un po' esagerato per essere solo ottobre."

Cleo annuì, mormorando sottovoce in segno di assenso, e poi tirò fuori il cellulare dalla tasca del cappotto; annoiata, si mise a scorrere tra le poche chat aperte, ignorando i messaggi minatori lasciati da Neela per sottolineare che non aveva alcuna intenzione di pulire al suo posto.

"Certo che ogni tanto potrebbe venirmi incontro" si disse con una smorfia. Le era capitato di chiederle di sostituirla solo un paio di volte nel mese precedente, quindi avrebbe potuto anche fare uno sforzo e darle una mano. "Ma no, a quanto pare ha altro da fare, come se i miei proble..."

"Ehi, cos'è quella faccia arrabbiata?"

Cleo alzò lo sguardo dallo schermo per portarlo sulla fonte della domanda, al momento seduto su un alto sgabello vicino ai tavolini a muro del locale, le braccia incrociate sul petto e un sorrisetto ad aleggiargli sul volto coperto da una barba non fatta da almeno un paio di giorni. La ragazza inarcò un sopracciglio, prendendosi del tempo per studiare l'uomo con la stessa attenzione con cui la stava squadrando: spalle ampie, dall'aspetto muscoloso nonostante la felpa e con una faccia che avrebbe preso volentieri a schiaffi. Tra il taglio di capelli, portati corti sui lati e più lunghi sul capo, gli occhi azzurri che la osservavano senza pudore e le labbra ancora atteggiate in un sorriso di scherno, le parve più fastidioso che mai.

"Cos'è?" insistette lui, sporgendosi in avanti e rivelando sul collo l'accenno di un tatuaggio. "Non hai voglia di parlare?"

Cleo fece per aprire bocca e rispondergli per le rime, ma il gestore del locale le venne in aiuto. "Fra, se sei venuto per importunare i clienti puoi anche uscire."

"Non la sto importunando." L'uomo roteò gli occhi, tornando ad appoggiarsi allo schienale. "E tu avresti davvero il cuore di abbandonare il tuo povero cugino sotto la pioggia? Soprattutto ora che lavoro qui vicino..."

"Se non la smetti, di sicuro."

Cleo fece rimbalzare lo sguardo tra i due, notando qualche leggera somiglianza nel profilo del naso dritto e nella forma degli occhi, grandi ma infossati, per poi esultare tra sé e sé per il trillo del timer del forno. Tempo di avere in mano il pranzo e sarebbe potuta fuggire – non ci avrebbe mai più messo piede lì dentro, piuttosto la fame.

"Mi chiamo Francesco, comunque" insistette però l'altro, saltando giù dallo sgabello per avvicinarsi a lei che, invece, teneva lo sguardo puntato sul commesso, infastidita da tutti gli incartamenti in cui stava infilando la focaccia. Orribile, orribile, orribile.

"Almeno il tuo nome lo potrei sapere?" chiese, ormai vicino a lei.

Cleo gli lanciò un'occhiata sprezzante, notando che non era neppure così alto; giusto un paio di scarpe col tacco e l'avrebbe superato con nonchalance, nonché avrebbe potuto osservarlo dall'alto in basso come si meritava.

"Fra, ti ho già detto di smetterla" lo ammonì il cugino, voltandosi verso di loro con in mano l'agognato pranzo. "Perdonami, è un coglione e io sono troppo buono per mandarlo a 'fanculo" aggiunse, mentre Cleo apriva lo zaino per infilarci il cartone.

La ragazza scrollò le spalle, incapace di pronunciare una sola parola che non fosse carica di disprezzo e fastidio nei confronti di entrambi, e fece per uscire dalla panetteria. Voleva solo tornare a matematica, raggiungere la sua aula, pranzare e dimenticare ciò che era appena accaduto; non aveva tempo per concentrarsi su un morto di figa desideroso solo di darle fastidio.

Tale Fra la anticipò, aprendole la porta. "Deduco che tu non mi voglia dare nemmeno il tuo numero."

Cleo spalancò l'ombrello e se ne andò senza rispondergli, ignorando la bestemmia mormorata dall'uomo e la risata a pieni polmoni del panettiere. Aveva altro a cui pensare.

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