1.2 ~ "Quanto tempo è passato?"

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- Simone... Ciao...

Gli feci un sorriso imbarazzato, un po' timido.
Infilai le mani in tasca perché non sapevo dove altro metterle.
La bottiglia non l'avevo più presa, rimasi a dondolarmi sui talloni aspettando che mi dicesse qualcosa, perché io proprio non sapevo come continuare.

Lo vidi deglutire due, tre volte, per poi guardarsi intorno imbarazzato anche lui.
Era tutto sudato, chissà da quanto tempo era lì a ballare, tanto che i capelli erano bagnati e se ne stavano appiccicati vicino alla fronte e alle orecchie.
Mi soffermai per un secondo a osservargli il collo umido, scoperto dal colletto slacciato della camicia.

Manuel, contieniti.
Oltretutto c'hai un ragazzo a Milano.

- Quanto tempo è passato? - si decise a chiedermi, cercando di farsi sentire con un tono di voce più alto.
- Quattro anni. Sono passati quattro anni.

Silenzio.
Faceva più rumore quel silenzio interminabile di tutto quel frastuono che ci sovrastava.
Ecco perché non avevo voluto avvicinarmi io, me lo aspettavo questo momento di vuoto, a cercare le parole senza riuscire a trovarle.
E poi, cosa c'era da dire?

- Come stai? - ricominciò.
- Bene, sto bene. Tu come stai?
- Bene, bene. Incasinato con gli studi.

Annuimmo insieme, senza motivo, per colmare quegli attimi di "non so che altro dirti".
Poi mi posò una mano sul gomito e io seguii quel movimento con lo sguardo.

- Senti, ci spostiamo fuori a chiacchierare un po'? Qui dentro non si riesce a parlare e ho anche bisogno di aria.

Seguii la sua camminata ondulatoria, mentre si faceva spazio fra la calca e sorseggiava dal suo bicchiere qualche miscuglio alcolico.
Non era cambiato per niente, quegli anni su di lui non si vedevano. Forse, soltanto nei lineamenti un po' più marcati.
Chissà se lui, invece, mi trovava cambiato.
Lo osservai da dietro, in tutta la sua statura.
Le spalle, la schiena, le gambe. Addirittura come posava i piedi uno di fronte all'altro, fino a ritrovarci fuori.

Mi posai con le spalle contro l'intonaco frastagliato della casa, lui trovò il suo posto in piedi di fronte a me, ma a debita distanza.

- Te verrà 'na cosa a stà qui fuori così, tutto sudato, lo sai, sì?
- Al massimo me ne sto a letto qualche giorno.
- Ah beh, contento te.
- Allora? Sei qui di passaggio o cosa?
- Sono tornato per restare qui, credo. Me só laureato e adesso devo decidere che fare - sospirai.
- Ma davvero? Complimenti, sei stato veloce!
- Eh, chi l'avrebbe mai detto.
- E com'era Milano?
- Simó, che è sto gioco? Se te interessava tanto sapere di me perché sei sparito? Ce potevi passà da Milano, non credi? - sbottai, ma cercando di mantenere un tono basso.

Non ero arrabbiato, ma ero irritato.
Era stato lui ad allentare pian piano il rapporto, a farlo svanire giorno dopo giorno.
Io ci ero stato male, ci ero stato di merda, ma proprio perché mi ero reso conto che provavo qualcosa per lui quando ormai ero lontano, non avevo insistito per trattenerlo.
Aveva voluto prendere le distanze, senza spiegazioni, ed io glielo avevo lasciato fare.
Ora perché tutto questo teatrino?
Va bene salutarsi, ma per me finiva lì.

Lui abbassò la testa, a cercare qualche cosa nel suo bicchiere, forse una giustificazione.
Si ripassò fra le dita quel contenitore di carta, sentivo il rumore del liquido sbattere contro i cubetti di ghiaccio.

- Lo so, hai ragione. Ma non è stato facile neanche per me.
- Cosa?
- Realizzare che te ne eri andato.

Alzò gli occhi e mi guardò, lo vidi serrare la mascella come era suo solito fare, da sempre.
Non riuscii a mantenere quel contatto visivo per troppo tempo, mi sentivo ingabbiato quando mi guardava, sembrava sempre come se volesse scavare a fondo per sfiorarmi l'anima.
Esattamente come anni prima.

Il tuo ritorno e altri disastri Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora