4.3 ~ "Perchè m'hai lasciato?"

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Combattevo da dieci minuti con la rotellina dello stereo, in cerca di qualcosa da ascoltare.
Dovevo distrarmi dalla miriade di voci che mi urlavano nella testa che mi stavo ficcando nei guai. Ma, del resto, non era una novità.
La radio non accontentò il mio desiderio, così la spensi e la maledissi, dandoci pure un colpo con la mano, come se quello potesse servire a sfogare la mia frustrazione.

Mi portai la mano alle labbra, stringendola in un pugno, mentre con l'altra mantenevo la presa sullo sterzo.
Non c'era nessuno in giro, Roma era quasi deserta e sembrava ancora più bella mentre faceva da sfondo al mio istinto di protezione verso quel deficiente di Simone.

Deficiente, sì. Ma intanto t'ha chiamato e stai correndo da lui.

Riuscii a raggiungere la villetta, luogo della festa, e parcheggiai all'esterno.
Mi incamminai lungo il vialetto, cercando di trovare Simone il più presto possibile ed evitare di dovermi addentrare all'interno.
Mi accorsi di lui, per puro caso, trovandolo sulla destra seduto in mezzo all'erba e intento a staccarne ciuffi da terra, mentre nell'altra mano reggeva ancora un bicchiere mezzo pieno.

- Ma allora sei scemo, ancora che bevi? Guarda come stai combinato - gli dissi, a mo di ramanzina da padre.
A breve avrei potuto sostituire Dante Balestra.

Gli sfilai il bicchiere dalle dita e lo lanciai in mezzo al prato.
Lui alzò la testa e mi guardò con i suoi occhi lucidi per chissà quanto alcol avesse ingerito, poi gli si formò un sorrisetto da idiota sulle labbra.
Tra l'altro, se ne stava con una camicia a righe sottili sbottonata fino a metà addome, in pieno novembre e all'esterno.

- Sei venuto a salvarmi? - mi chiese, con la voce impastata.
- Si, ma me sa che stavolta non te salvi dall'influenza. Vieni qua e tirati sù.

Gli passai un braccio intorno alla vita, mi portai il suo sulle spalle e lo sollevai.
Trascinarsi dietro il peso di uno alto quasi un metro e novanta era un'impresa non di poco conto e bestemmiai mentalmente, contro me stesso, per aver parcheggiato fuori.
Non riusciva quasi a mettere i piedi in fila per camminare tanto che inciampò da solo e, per qualche miracolo divino, riuscimmo a non rotolare entrambi per terra.
Quando raggiunsi finalmente la macchina, lo implorai di mantenersi due secondi sulle sue gambe senza il mio aiuto, per poter cercare le chiavi in tasca e aprire lo sportello.

- Voglio mettermi dietro.
- Non ce penso proprio Simó. Se te viene da vomitare me imbratti la macchina.
- Che sarà mai.
- Non ce provà. Te lascio a piedi, te lo dico.
- Dai ti prego, voglio stare dietro.
- No.

Lo guidai verso il lato del passeggero e gli aprii lo sportello, lo aiutai a sedersi e ad agganciarsi la cintura, poi richiusi la portiera e me ne andai verso il mio lato.
Ma nel frattempo, mi accorsi che era riuscito a passare dietro scavalcando fra i sedili.

'Sto stronzo mi fa fesso pure da sbronzo.

Allora aprii lo sportello dei sedili posteriori e lo ritrovai disteso, con le gambe di lato e le braccia dietro la testa.

- Scendi che manco ce stai, qua dietro.

Di risposta, si mise a ridere.
Mi infilai in macchina e gli afferrai le braccia per metterlo a sedere, ma fece forza per non schiodarsi e ad un certo punto mi strattonò verso di lui.

Mi ritrovai praticamente disteso sul suo corpo, con la testa sul petto e i battiti del suo cuore che rimbombavano nel mio orecchio.
Rimasi fermo e immobile per qualche minuto, col fiato sospeso.
Quell'unione improvvisa e inaspettata mi aveva incatenato a lui ed io non avevo la forza di rifiutare le sue braccia che mi tenevano stretto.

Il tuo ritorno e altri disastri Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora