8.2 ~ "Te lo ricordi?"

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Attraversai la strada a grandi falcate, dietro di me Simone urlava il mio nome nel tentativo vano di farmi tornare da lui.
Non avevo nessuna intenzione di ignorare la questione, tantomeno adesso che avevo visto Simone venire spintonato e andarsene a testa bassa, arreso.

Il tizio se ne stava in piedi vicino alla porta della pizzeria semivuota da cui avevamo preso l'asporto, reggeva tra le mani una bottiglia di birra mezza piena e sembrava già essersi scordato di quello che aveva appena fatto, mentre scorreva col dito sul suo smartphone.

Certo, funzionava così, no?
Era facile, per gente come lui, sputare battutine o fare del male gratuitamente agli altri, senza curarsene e continuando, poi, sulla propria strada.

Che schifo.

Lo raggiunsi direttamente con la mano aperta ad afferrarlo per la giacca e tirarlo dietro l'angolo, lo sbattei contro il muro e, inizialmente, lui mi guardò attonito.
La bottiglia gli cadde di mano, infrangendosi sull'asfalto in mille pezzi.
Dopo pochi secondi, vidi apparire sul suo viso l'espressione di chi stava per collegare i pezzi e lanciò un'occhiata a Simone, dall'altro lato della strada, che assisteva irrequieto alla scena.
Potei scorgere la sua figura che faceva avanti e indietro, mentre agitava le mani tremanti.

Afferrai la faccia del tizio dal mento, mentre lo tenevo bloccato con l'altra mano, e lo riportai a rivolgere lo sguardo verso di me.
- Oh, te Simone non lo devi manco guardà. Hai capito?

Mi stupii da solo del mio stesso tono di voce, particolarmente alterato e graffiante.
Lui continuò a ridere, sotto la mia presa, come uno che si stesse divertendo a giocare alla serata diversa dal solito, con un piccolo intoppo da risolvere.
- E te chi sei? Adesso va in giro con la scorta, il tuo amico?

Guardai i suoi occhi neri e vuoti, in tinta con la barba e i capelli rasati.
Aveva una cicatrice vicino al labbro, di chissà quanti anni prima. Forse era caduto da piccolo e si era aperto la faccia, o forse qualcuno gliel'aveva spaccata per bene.
Sentii un formicolio attraversarmi le mani, ma dovevo stare calmo. Volevo stare calmo.

- Te sei fortunato che ancora vai in giro con le tue gambe.
- È fortunato Simone, che è tornato come nuovo, ci dovevamo impegnare di più.

Si divincolò con una sola mossa, mi spinse talmente forte che indietreggiai almeno di tre o quattro passi.
Rimasi per un attimo sconcertato, dalle sue parole, rivedendo dietro le palpebre semichiuse le scene che ripercorrevo ogni notte, anche se non le avevo vissute con Simone.

Ritrovai la sua faccia sporca di sangue, il suo corpo per terra in posizione innaturale.
Chissà quanto dolore avesse provato, nel cuore e sulla pelle.
Sentii scivolare via quel poco di pazienza che avevo trattenuto per non pestarlo in meno di cinque minuti.

Lo spintonai di rimando, lui rimbalzò contro il muro e cadde per terra.
Mi misi a cavalcioni su di lui e lo afferrai per la giacca, tirandogli un pugno diretto sul naso.
- Che cazzo hai detto? Ripeti.

- Manuel! No, che fai? Smettila.
Sentii Simone accorrere, cercare di sollevarmi per evitare che qualcuno vedesse la scena e che passassimo dei guai.
- Lasciami, Simó - lo scostai.
- Non ne vale la pena, ti prego - mi implorò lui.

Vidi macchiarsi di sangue il viso spocchioso del ragazzo sotto di me e mi trattenni dal tirargli il prossimo colpo.
Simone ancora mi tirava per un braccio, senza riuscire a schiodarmi dalla mia posizione.

- Te adesso chiedi scusa al mio ragazzo - sibilai, rendendomi conto di come avessi appena definito Simone. Cercai di evitare di guardare la sua espressione, probabilmente imbarazzata o incredula.
- Che? - fece questo, ridendo.
- T'ho detto, chiedi scusa. Che non serve a un cazzo ma è il minimo che tu possa fare. Altrimenti te faccio n'altra cicatrice in faccia.
- Okay, scusa, Simone - disse, nessuna traccia di sincerità, nella sua voce. Ma mi bastò per sentirmi orgoglioso di averlo fatto cedere alla mia richiesta, anche se solo per finta da parte sua.

Il tuo ritorno e altri disastri Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora