10.2 ~ "E che cosa stai aspettando?"

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Era passato solo un giorno dalla partenza di Simone, ma mi sentivo talmente vuoto nel cuore e nello stomaco che mi sembrava ne fossero passati almeno dieci.
Mi mancava come se mi avesse mollato in mezzo alla strada per andarsene dall'altra parte del mondo senza farci più ritorno.
Ci eravamo sentiti quando era arrivato, poi nel pomeriggio post pranzo e poi la sera, prima di andare a dormire.

Mi ero messo a letto da solo, senza il suo corpo accanto a riscaldarmi, ad abbracciarmi. Senza le sue mani che mi cercavano nel sonno, per poi fermarsi fra i miei capelli e restarci intrappolate fino al risveglio.

La mattina seguente gli scrissi il buongiorno in fretta, poi uscii per passare da casa di mia madre, le avevo promesso che avremmo fatto colazione insieme come ai vecchi tempi, dato che era il giorno di chiusura del suo locale.
La trovai in cucina, che sfornava le nastrine di cui andavo pazzo quando ero al liceo, e mi accolse con un sorriso largo e sincero.
Mi abbracciò e si accorse subito del mio viso incupito, dei miei occhi bassi.

- Manuel, tutto bene? - mi chiese, soffermandosi con una mano sulla guancia, ad accarezzarmi come solo una madre sa fare.
- Si mà, sto bene.
- Ti manca?
- Si.

Mandai giù il nodo in gola che mi si era formato non appena mi aveva posto quella domanda.
Avevo risposto senza neanche pensarci e senza provare a nasconderlo.
Mi mancava come l'aria, neanche ci riuscivo a respirare senza di lui.
Ci ero già stato una volta lontano, una lontananza durata quattro anni.
Adesso saperlo a distanza mi appariva come una lenta agonia, nonostante la netta differenza fra le due situazioni.

- Senti - iniziò lei, prendendomi una mano a tavola mentre eravamo seduti a pochi centimetri - perché non vai da lui?
- No, no. Non mi sembra giusto. Ha bisogno di stare un po' con sua madre, diventerei invadente. Poi lavoro, sia oggi che domani mattina. Che faccio, parto il giorno della vigilia?
- Perché, non potresti?
- Perché avrei solo un giorno di tempo, sembrerei anche assillante. No mà, non lo so, non me sembra il caso.

Addentai la nastrina e masticai in silenzio, cercando di scacciare quel sentore che mi urlava di andare a passare il Natale con lui, che mi stava divorando da dentro da quando lo avevo visto sparire per imbarcarsi.

- Io penso che a Simone farebbe piacere. Anzi, ne sono proprio convinta. E poi hai poco più di vent'anni, che sarà mai un viaggio andata e ritorno da Barcellona, in poche ore? Se non le fai adesso ste cose, per amore...

"Se non le fai adesso ste cose, per amore..."

Continuai a mangiare in silenzio e tirai giù il caffè in due sorsi, cercando di mettere a tacere quelle parole che rimbombavano nella mia testa come un eco.
Sfregai le mani una con l'altra, per pulirle dalle briciole rimaste e poi andai a lavarle.
Tornai a dare un bacio a mia madre e la abbracciai.

- Vado mà, devo stare al lavoro fra dieci minuti. Grazie della colazione.
- Pensace a quello che t'ho detto! - mi urlò dietro lei, mentre mi chiudevo la porta alle spalle.

Qualche ora dopo, non appena ebbi concluso la mia giornata lavorativa, decisi di farmi un giro per la scuola vuota dagli alunni che avevano già staccato dalle lezioni.
Passeggiai con la giacca fra le mani, mi persi tra quei corridoi che non appartenevano alla mia vecchia scuola, ma la sensazione di tornare indietro nel tempo era la stessa.
Entrai in un'aula vuota, a caso.
Osservai i banchi singoli e mi soffermai su quelli che, per la posizione, dovevano essere come quelli che occupavamo io e Simone quando eravamo in classe, un tempo.

Sorrisi e feci fatica a trattenere le lacrime.
Questa cosa che mi commuovevo con niente, negli ultimi tempi, doveva finire.
Ero sempre stato una persona abbastanza sensibile, ma estremamente bravo a non dimostrare le mie emozioni.
Non avevo mai avuto problemi a tener nascosto il mio lato emotivo, quindi facevo fatica ad accettare questo mio cambiamento graduale, nell'ultimo periodo.

Il tuo ritorno e altri disastri Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora