6.1 ~ "Chiamavi il suo nome di notte"

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Aprii gli occhi che erano le prime luci del mattino e, fuori dalla finestra della camera di Simone, si intravedeva un cielo in parte nuvoloso.
Ero agganciato dalle sue braccia come se la sua vita dipendesse necessariamente dalla mia, aveva un'espressione beatamente angelica dipinta sul viso.
Lo guardai per qualche minuto e capii cosa avesse dovuto provare quella volta che mi aveva filmato nel sonno, sorridendo poi al ricordo dello scambio di battute che c'era stato quando me lo aveva rivelato, qualche mese dopo.

- Si, ma adesso io lo voglio vedè, 'sto filmato.
- Non ci penso nemmeno.
- Dai, famme vedè quanto so bello mentre dormo.
- Anche meno, Manuel. Stai calmo.

Lo avevo preso in giro e lui ci era rimasto un pò male, roba che adesso mi prenderei a schiaffi da solo perché capivo esattamente per quale motivo l'avesse fatto.
Anche se lui era bello almeno il triplo di quanto lo fossi sempre stato io.

Gli toccai la fronte e mi accorsi, con sollievo, che non scottava più. Sperai che non gli sarebbe tornata durante il resto della giornata, ma era arrivato il momento, per me, di andare.
Sicuramente sua nonna ci aveva visti al rientro, ma fare colazione tutti insieme era una cosa che non ero ancora pronto ad affrontare.
Quindi cercai di scastrarmi dal suo caldo abbraccio che subito mi ritrovai a rimpiangere, ritrovandomi a contatto con l'aria abbastanza fredda al di fuori del letto.
Recuperai la felpa e me la infilai.

Mi sentii un pò stupido, ma mi avvicinai al letto e mi accovacciai vicino a lui facendo piano per non svegliarlo, per poi posargli un bacio sulla fronte.

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Passai da mia madre a bere un caffè macchiato e mangiare un croissant.
Non avevo neanche cenato, la sera prima.
Mia madre sembrò osservarmi più del solito, mi lanciò certe occhiate eloquenti che io cercai di schivare con maestria, ma non potei sfuggire allo stesso modo alle sue parole.

- Manuel, sono un pò preoccupata. Stai bene?
- Si, mà. Non dovrei?
Intanto, continuavo a masticare la mia colazione e mi sporcai le mani col ripieno caldo.
Recuperai dei fazzoletti dal dispenser e cercai di rimediare al danno, prima che potesse estendersi ai vestiti.

- Non so, Marco ti ha lasciato. Non vieni mai a casa. E cosa hai deciso di fare, nella vita?
- Cioè, te hai toccato tre questioni diverse nella stessa frase, te ne rendi conto, si? E' legale 'sta cosa? De prima mattina, poi - fomentai le mie parole, destreggiandomi a gesticolare animatamente.
- Appunto, Manuel. Dove sei stato?
- Non me posso alzà presto?
- Non sei credibile, per niente.
- Vabbè io devo andare, c'ho da fà.
Le mollai un bacio sulla guancia e mi allontanai.
- Ma stiamo parlando! - mi urlò dietro, lei.
Ringraziai mentalmente il cliente che stava facendo il suo ingresso, mentre gli tenevo aperta la porta del locale, così che lei dovette per forza arrendersi.

Mentre mi dirigevo verso la moto, sentii il telefono vibrarmi in tasca e mi affrettai a recuperarlo, immaginando fosse Simone che si chiedeva perché mai fossi scappato via come un ladro qualunque.
Lo portai all'orecchio, dopo aver aperto la chiamata, senza prima accertarmi su chi mi stesse cercando e restai pietrificato quando mi accorsi che non era la sua voce, all'altro capo della linea.

- Marco - dissi, con un filo di voce.
Deglutii e mandai giù il magone, mi sentivo così male per come mi ero comportato, ero stato così ingenuo a pensare che mi fosse passata per Simone.
Ma quello che c'era stato fra me e Marco prima di rivedere lui e passarci del tempo, da parte mia era stato sincero.
Anche se adesso risultava difficile da credere, dall'altra parte.

Il tuo ritorno e altri disastri Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora