La mia vita mi aspetta.

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E come nei film c'è una scena finale

Dove vado di fretta, la mia vita mi aspetta

Tre settimane prima della decisione di Manuel, lui e Simone avevano discusso per l'ennesima volta. Manuel un giorno si era rifugiato in garage, dopo mesi che non ci metteva piede, ed aveva semplicemente ricominciato a rassettare tutto. Il garage era prevalentemente vuoto, vi erano solo il suo motorino, i suoi attrezzi e la postazione per i tatuaggi. Nessun altro mezzo su cui mettere le mani, nessuna distrazione che potesse portare la sua testa fuori dai binari di quella stazione in cui il suo treno s'era fermato da un po' troppo tempo, causando ritardi che - a furia di accumulare - erano diventati irrecuperabili. Tutto in quel garage era Simone. La macchina dei tatuaggi che aveva accarezzato la sua pelle prima ancora di lui, la finestra da cui si era affacciato quando aveva scoperto dei suoi affari illeciti, lo spazio occupato dalla macchina che gli aveva sfasciato per gelosia, il pavimento dove molte, troppe volte si erano seduti per fumare una canna e ridere o stare semplicemente in silenzio, perché anche il silenzio apparentemente bastava. Simone si incastrava perfettamente in ogni angolo e, proprio per questo, aveva deciso di rivoluzionare l'ordine di quel luogo riverniciando le pareti, smontando e invertendo le mensole, cambiando posto agli attrezzi.

I mesi in cui non aveva messo piede in garage si percepivano molto, tra strati di polvere e il cestino della spazzatura pieno di roba vecchia, ma ciò che percepiva di più era la costante chiusura del suo stomaco nel ripensare a quante volte in quel garage ci aveva rischiato la vita, a volte consapevolmente, a volte senza che potesse muovere un dito per sottrarsi a quel destino, eppure si guardava intorno e vedeva. Una cosa banale, forse, ma almeno vedeva, e questo stava a significare che - contro ogni aspettativa - era ancora vivo. Nonostante i suoi mille tentativi di auto sabotaggio, era ancora vivo. Barcollante, zoppicante, affamato, stanco, col cuore dilaniato, ma vivo. Quando questa consapevolezza lo colpì, si convinse che forse, se proprio doveva ricominciare a camminare a passo certo, dopo aver buttato contro la sua volontà tutto ciò che di bello aveva, sarebbe stato opportuno iniziare da lì, dalla miccia che aveva acceso gli ultimi tre anni della sua vita.

Stava ancora rassettando, da ore senza cellulare - senza notare quindi che s'era fatta sera inoltrata -, quando il vetro della porta del garage tremò al tocco di due pugni che vi sbattevano frenetici.

«Lo so che sei lì! Apri, coglione!»

Non seppe se ringraziare o maledire che i pugni in questione appartenessero al suo più bel tormento personale, ma decise comunque di adottare la strategia del se non mi vede non esisto, rimanendo immobile quasi senza respirare per paura che potesse sentire anche quello, perché Simone di lui era capace di percepire tutto.

Il vetro tremò di nuovo, stavolta più forte, ricordando a Manuel quanto il carattere pettinato del minore cozzasse con la sua potenziale forza nelle braccia, che in quel momento si stava facendo sentire un po' di più, tanto che per un attimo temé la rottura della porta. Fu proprio grazie a questo timore - o forse era una scusa - che si avvicinò con cautela alla porta per aprirla, facendo bloccare di colpo Simone dall'urlare di nuovo. Il tono, infatti, da incazzato passò velocemente a sfranto, forse il tono che di Simone odiava di più.

«Ti sto chiamando al cellulare da quattro ore, e tu non mi hai risposto neanche una volta. Mi sono preoccupato, cazzo.»

Simone, smettila di preoccuparti per me, non me lo merito.

Manuel alzò le spalle e senza dire niente si voltò per rientrare in garage, seguito da Simone.

«È cambiato tutto, qui.» affermò Simone guardandosi attorno attentamente, incantato dal bianco pulito delle pareti, dall'odore della pittura, dall'improvviso ordine del luogo più caotico che avesse mai visto.

Regno Animale - SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora