Capitolo 30

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Erano rientrati alle cinque di mattina, finendo per chiudere il locale. Giulia e Gaia avevano bevuto un paio di cocktail di troppo e non si reggevano in piedi.
“Daje Giù, vedi de scenne…”
La tirò giù a fatica dal van, assicurandosi che non ci fosse nessuno nei paraggi. Giulia si ancorò a lui e si fece trascinare di peso nella hall dell’albergo, che per fortuna sembrava deserta. I ragazzi dietro di lui cercavano di non fare troppo rumore ma non riuscivano a trattenere le loro risatine del cazzo. Damiano era arrabbiato, avrebbe voluto tornare molto prima, avrebbe voluto che Giulia fosse più lucida e che non si comportasse in quel modo perché lei l’alcol non lo reggeva per niente e diventava molesta.
Uscirono dall’ascensore e si fiondarono verso la loro stanza, nella speranza di non incontrare nessuno. Non vedeva l’ora di farsi una doccia bollente e di buttarsi a letto.
Passò davanti alla porta della camera di Vic e non poté fare a meno di pensare a lei. Stava dormendo? Avrebbe tanto voluto parlarle, dirle ciò che aveva finalmente capito. Forse avrebbe potuto mettere a letto la fidanzata e bussare alla sua porta. Ma quanto sarebbe stato sconveniente?
Entrarono nella loro stanza e Giulia si lasciò andare sopra le coperte senza nemmeno spogliarsi. Damiano le levò le scarpe e la coprì con un panno, trovato nell’armadio. Stava già dormendo.
Lui si spogliò con calma e si diresse verso il bagno. Solo allora pensò di recuperare il proprio telefonino e vide che aveva un paio di chiamate ed una marea di messaggi non letti.
Subito una strana angoscia si impossessò di lui quando vide che Vic gli aveva mandato un vocale.
Che stava succedendo? Perché era sveglia alle quattro di notte? Si era forse sentita male?
Schiacciò il tasto play con ansia; non voleva sapere ma allo stesso tempo aveva l’urgenza di farlo.
“Ehi ciao…sì lo so, scusa l’ora… è che… avrei trovato questo volo per Roma, che parte verso le sei… e… sì insomma, ho pensato che forse è meglio farlo e basta. Non aspettare più. Ho già chiamato in clinica, hanno detto che è un intervento semplice… me la sbrigherò in un paio d’ore. Volevo dirtelo di persona ma non credo che tu sia ancora rientrato… Magari te scrivo più tardi quando ho finito o se vedemo domani o dopodomani quando tornate anche voi. Mmm… va bé dai, notte o buongiorno... Quello che è.”
Damiano rimase in silenzio a guardare il monitor del telefono.
Che cosa??
Oddio, no… Cosa diavolo stava succedendo? Ma era del tutto impazzita?
Guardò l'ora con angoscia crescente. Erano le cinque e mezza... Vic doveva già essere in aeroporto da un pezzo e quel messaggio lo aveva mandato all'una. Ecco perché era tornata di corsa in hotel, forse aveva già controllato i voli?
Ma che cazzo, Vic!!
Fece partire subito la chiamata mentre tornava in camera a cercare dei vestiti puliti nella valigia sfatta. Doveva fermarla prima che partisse. Il telefono della ragazza risultava irraggiungibile.
“No, no, no! Cazzo!” Imprecò ad alta voce, ricordandosi solo in quel momento di Giulia che dormiva beata lì accanto.
Compose il numero di Leo e lo fece squillare incessantemente fino a che questo non si decise a rispondere con voce assonnata.
“Che c’hai?”
“Vic se n’è andata!! È tornata a Roma… cioè no, sta tornando… forse possiamo raggiungerla!” Aveva il fiatone, come se avesse corso la maratona ma stava solo infilandosi i pantaloni.
“Sì, lo so.”
“Come lo sai?”
“T’ho scritto, Chicco… 'ndo cazzi vivi? T’ho scritto quarcosa come tredici messaggi stanotte ma tu niente… eri troppo impegnato a fà festa! Mò che volemo fà? Nun arrivamo mica in tempo…”
“Provamoce.” Damiano era fuori di sé. Stava già prendendo il portafoglio e si accorse che era ancora scalzo.
“Che testa de cazzo che sei!! Tra dù minuti, de sotto. Me faccio chiamà ‘n taxi…” Lello riattaccò con un sospiro. Possibile che fosse così coglione? Gli aveva detto di parlare subito con Giulia e poi con Vic ed ora? Era troppo tardi ormai.
Quando arrivarono all’aeroporto Vic si era già imbarcata da un pezzo e, anche se il suo aereo era ancora sulla pista di decollo, non potevano fare nulla per fermarla. Damiano aveva tentato in tutti i modi di convincere la hostess di terra a farlo partire ma non c’era stato nulla da fare. Dopo una scenata epocale, che aveva attirato l’attenzione di vari curiosi e persino della sicurezza, si era trovato il compromesso di farlo partire con il volo successivo, che sarebbe decollato da lì ad un paio d’ore. Non aveva nulla con sé a parte i documenti e Leo non lo avrebbe potuto accompagnare ma poco importava. Doveva solo rientrare a Roma prima che Vic andasse in clinica.
Iniziò la sua attesa interminabile in quella sala d’aspetto. La ragazza aveva ovviamente il telefono spento ma avrebbe ascoltato i suoi messaggi una volta atterrata in Italia. Voleva che aspettasse, voleva parlarne con calma e lucidità, quella che non avevano avuto negli ultimi due giorni. La pregò, la minacciò, si scusò per il suo comportamento ma cosa poteva fare se dall’altra parte nessuno lo ascoltava? Le spunte rimanevano grigie.
Poi finalmente annunciarono il suo volo. Si imbarcò sotto gli sguardi ammiccanti delle hostess, che indugiavano sul suo documento, per poi passare al suo volto ancora sfatto e truccato per la notte insonne.
Corse verso il bus e poi lungo la scaletta dell’aereo, come non aveva mai fatto prima. Finalmente sentì il rombo del motore e le ruote si staccarono dal suolo.
Fu l’ora e mezza più lunga della sua vita, per quanto si sforzasse non riusciva a distrarsi in nessun modo. Tutta la musica gli ricordava lei, aggiungendo parole a quelle che avrebbe voluto dirle. Si appuntava di tanto in tanto qualcosa, quasi una lista da ricordare quando sarebbero stati faccia a faccia.
La voce nell’altoparlante annunciò l’atterraggio; si sentiva agitato ma speranzoso, non vedeva l'ora di parlarle, di aprirle finalmente il suo cuore ora che aveva capito. Non poteva aspettare un minuto di più.
Si catapultò fuori, felice di non dover attendere alcun bagaglio. Fu fermato da alcuni gruppi di fans ma non sprecò tempo ad essere cortese. Fece un paio di foto e qualche autografo, approfittando dell’effetto sorpresa, poi fermò il primo taxi e diede l’indirizzo di Vic.
Erano appena passate le nove e mezza. La conosceva, Vic doveva essere passata da casa per lasciare la valigia e fare una doccia. Provò a chiamarla almeno dieci volte ma il telefono suonava a vuoto. L’angoscia cresceva di minuto in minuto: la verità era che non avrebbe saputo dove altro rintracciarla.
Infine, dopo quella che sembrava un’eternità arrivò davanti alla sua abitazione e suonò il campanello fino quasi a staccarlo.
Lanciò un’occhiata disperata al tassista, che lo aspettava lì davanti senza sapere che fare. Di sicuro non era la regola che un cantante di fama mondiale gli chiedesse di dedicargli tutta la mattinata ma almeno non avrebbe avuto problemi di soldi per il pagamento del conto, che di sicuro sarebbe stato salato. Se lo vide risalire in macchina con il telefonino attaccato di nuovo all’orecchio. Chiunque stesse cercando in modo così forsennato, non sembrava avere alcuna voglia di essere trovato.
“’Ndo te porto, capo?” Gli chiese, guardandolo attraverso lo specchietto del taxi.
Damiano gli fece segno di aspettare mentre sembrava che qualcuno avesse finalmente deciso di rispondergli a quel dannato telefono.
“Ehi… ehi Joy, sò io… sto a cercà Vic! Ora nun c’è tempo pe’ spiegatte ma è importante… è davvero importante che tu mi dica se t’ha chiamata… se t’ha detto quarcosa? Quarsiasi cosa…”
La ragazza era perplessa. Doveva essere per strada a giudicare dai rumori in sottofondo, che rendevano la sua voce appena comprensibile.
“No… Ma scusa non dovreste essere insieme tipo all’estero?”
Cazzo, forse non era passata da casa. Dove poteva essersi cacciata? Quale clinica?
“Sì, ma… è davvero complicato… te prego solo de scrivermi se te chiama, ok?”
Ora però la ragazza sembrava allarmata.
“Ok… ma che sta a succede? Me devo preoccupà? Non la sento da ieri sera…”
Damiano avrebbe voluto parlare, sfogarsi, chiederle di chiamarla perché di sicuro a lei avrebbe risposto ma non poteva farlo senza il consenso di Vic, non glielo avrebbe mai perdonato.
“No… ascolta, la devo assolutamente trovà… tu riusciresti a chiama…”
Le parole gli morirono in gola quando riconobbe la frangetta bionda nello specchietto retrovisore. Era Vic e stava scendendo da un taxi del tutto simile a quello. Attaccò il telefono senza dare spiegazioni a Joy e si precipitò fuori dall’auto.
“Ahò regazzì! Mò ‘ndo cazzo pensi d’anna?” Lo rimproverò il tassista, che a dire il vero non ci capiva più nulla.
Damiano non gli diede retta ma corse verso la ragazza, la quale stava aspettando che il suo autista scaricasse la valigia dal baule.
“Dove ti eri cacciata? Sono ore che ti chiamo e tu manco me risponni… dovemo parlà…” Le si parò davanti con irruenza, senza nemmeno badare al fatto che erano in mezzo alla strada, davanti a due perfetti sconosciuti.
Vic trasalì quando se lo ritrovò di fronte, così fuori di sé, stanco, con il trucco ancora addosso e quei vestiti improbabili. Che diavolo stava facendo? Perché era in Italia?
“Che ci fai tu qui…?” Disse con un sussurro agitato.
“Che cazzo ci faccio secondo te? Me dispiace, ok? Nun vojo che tu lo faccia, nun vojo che rinunci a niente per me o… o pe’ Giulia, 'r gruppo o quelle cazzate lì… È troppo importante, dovevo dirtelo. E quanno… quando sei sparita ho capito tutto. Ho fatto un errore… Ma ora sono qui e possiamo trovare un modo, una soluzione insieme…”
Vic distolse lo sguardo sorpreso dal suo volto. Non poteva credere che stesse succedendo davvero.
“Non ora.” Si limitò a dire mentre passava i soldi al tassista.
“E invece dobbiamo farlo ora…”
“Scu… scusate… potrei chiedervi una foto?” La voce dell’uomo si fece strada nella loro discussione, lasciandoli a guardarsi in silenzio per qualche secondo.
Lo aveva detto? Era stato davvero così inopportuno?
“Che stai a scherzà?” Damiano gli avrebbe spaccato la faccia ma Victoria lo fermò immediatamente. Ci mancava solo che si mettesse a discutere con un perfetto estraneo, che aveva già sentito molto più di quanto avrebbe dovuto.
“Calmati, Damià. Certo… va bene. La facciamo…”
Vic si fece dare il telefono e scattò un paio di selfie, salutandolo poi con un sorriso tirato. Non era più tanto brava a fingere. Damiano invece aveva sempre fatto abbastanza schifo in quello ed anche ora non riusciva a capacitarsi di quanto fosse schifoso essere sempre sotto i riflettori.
A quel punto la ragazza prese il suo trolley, apprestandosi ad entrare in casa. Damiano la seguì.
“Daje, damme qua… te la porto io.” Cercò di aiutarla ma lei si scostò al solo contatto con la sua mano.
“No!”
La sentì esclamare, come se fosse sorpresa della sua stessa reazione.
L’uomo la guardò con la stessa sorpresa. Da quando lo evitava in quel modo?
“Come no…? Che t’ho fatto? Hai paura de me adesso?” Le chiese con sgomento.
“No…”
Vic riprese a camminare, evitando il suo sguardo. Cercò le chiavi di casa nella borsetta e solo allora Damiano ebbe il tempo per osservarla da vicino. Era pallida come sempre ma il suo volto struccato sembrava diverso dal solito, come se non riuscisse più a nascondere la stanchezza e quella sorta di sofferenza latente.
“Che hai? Mò che sò qui nun ne vòi più parlà? Te fai rincorre pe’ tutta Europa e nun me concedi manco dù minuti? T’ho detto che lo vojo… che nun me va de nasconne…"
Vic lo interruppe bruscamente.
“Basta, ti prego… lasciami andare adesso!” Era ferma sulla porta e lo stava letteralmente supplicando. L’uomo vide le lacrime, i suoi occhi gonfi di pianto e di parole non dette.
“Come puoi dirmi di lasciarti stare proprio adesso? Ne va della nostra vita… questa cosa riguarda entrambi!”
Questa volta la ragazza non cercò di nascondersi ma lo ricambiò con il suo sguardo più triste e rassegnato.
Questa cosa, Dam…” Disse portandosi una mano al ventre. “Questa cosa non c’è più...”
“Che… che significa?”
L’uomo cercava conferme nei suoi occhi, senza riuscire ancora a capire la reale portata di ciò che gli aveva appena detto.
“È finita… è tutto finito.”
Fu come sprofondare in un baratro senza fine. Non poteva essere la verità. Non poteva averlo già fatto.
“No… non è… tu…?”
Vic non rispose ma si asciugò gli occhi. Damiano si accorse solo allora dei suoi movimenti più lenti del solito, come se ogni cosa le costasse una immensa fatica ed il suo corpo fosse ancora dolorante.
Era vero. Lo aveva fatto.
“Non avevo altra scelta, lo sai… ora lasciame perdere…” Vic aprì la porta e fece per entrare in casa da sola ma lui si mise in mezzo.
“Ehi no… nun me pòi liquidà così… Perché? ” Era ancora confuso ed impaurito.
“Te lo avevo detto che lo avrei fatto e l’ho fatto. Ora tornerà tutto come prima.”
Non era la verità ovviamente e nemmeno lei poteva pensarlo sul serio.
“Victò, fermate. Non tornerà come prima… noi dovremo…”
Fu interrotto dal motore di un motorino, che parcheggiò proprio alle sue spalle.
“Ehi… alla fine l’hai trovata! Che ci fate già di ritorno voi due?”
Joy era lì. Aveva appena parcheggiato lo scooter ed ora si stava togliendo il casco. Victoria aveva paura, non voleva che lui parlasse mentre la ragazza si avvicinava con sospetto. Joy non era una stupida e la telefonata di poco prima le aveva fatto drizzare le antenne.
“Nulla. Damiano se ne sta andando…"
“No che non me ne vado…”
Reagì lui con decisione. Davvero lo stava mandando via? Davvero gli stava dicendo che ormai non avevano più niente da dirsi, quando avevano appena rinunciato al loro futuro insieme? Lui aveva appena abbandonato platealmente la fidanzata e il gruppo solo per lei, solo per dirle che l’amava abbastanza da compiere quel passo ma ancora una volta era arrivato tardi.
Vic invece lo stava supplicando di non metterla in difficoltà. Era estremamente provata da tutto ciò che era successo nelle ultime ore.
“Per favore… voglio restare sola…”
La vide appoggiarsi al mobile accanto all’ingresso e d’istinto la sorresse. Anche Joy ebbe i riflessi pronti e fece lo stesso. Si ritrovarono a fronteggiarsi, così vicini e gelosi l’uno dell’altra.
“Ehi... nun te lascio sola, devi stà a riposo.” Damiano cercò di apparire meno apprensivo ma avrebbe voluto prenderla di peso e posarla sul divano del salone.
Joy invece non riusciva a capire appieno quelle dinamiche ma era sempre più sospettosa e a preoccupata.
“Quarcuno me spiega che stà a succede?”
“Nulla, amo. Ora vado a letto, sono molto stanca per il viaggio. Noi ce sentimo dopo, ok?”
Damiano negò in modo deciso con il capo, senza mai distogliere gli occhi dai suoi. La pregava di lasciarlo rimanere, di non continuare con quella farsa ignobile. Lui aveva bisogno di parlare, di urlare al mondo tutta la sua frustrazione.
Vic fece qualche passo incerto verso il salone e lui la seguì con la paura che svenisse da un momento all’altro. A quel punto intervenne Joy, che si frappose tra di loro per interrompere quel gioco di sguardi, che la stava facendo diventare matta.
“Ok, forza Damià… Esci!” Lo costrinse a fare un passo indietro verso l’uscita.
“Ma che cazzo fai?” Si ribellò lui.
“L’hai sentita, no? Nun te vòle qui… quarsiasi cosa tu le abbia fatto, mò la devi lascià stare!”
“Io? Io non le ho fatto nulla.”
Oppose resistenza, cercando con tutto se stesso di non reagire con la forza, di rimanere lucido e non toccare la ragazza, la quale lo sovrastava in altezza e non aveva alcun problema a spingerlo fuori di lì.
“Se non vai, me tocca chiamà quarcuno.”
Joy lo stava minacciando e Vic, ormai lontana si costringeva ad un silenzio carico di dolore. Come si era ridotta in quella situazione? Stava piangendo ed ora anche Joy iniziava a capire che qualsiasi cosa ci fosse tra quei due, era qualcosa di grave e profondo.
“Victoria!”
La chiamò. Era una vera e propria supplica la sua. Lasciava che lo sbattessero fuori da quella casa ma anche dalla sua vita. Damiano la vedeva, così devastata dalla rinuncia che aveva appena fatto e devastata da quel vuoto che sentiva dentro. La seguì con lo sguardo fino a che non la vide sparire dietro alla porta della sua stanza e d’un tratto gli tornarono alla mente le parole di Leo: ve ne pentirete e noi cadremo con voi quando questo succederà.
Si ritrovò fuori senza sapere come. Immobile. Perso. Non sapeva più come respirare o pensare, si sentiva solo svuotato ed inutile.
D’un tratto il suono di un clacson alle sue spalle lo riportò alla realtà. Era il suo taxi, ancora appostato lì davanti. L’autista si affacciò al finestrino con la sua aria scocciata.
“Allora? Che volemo fà?”

Amandoti 5 (What if...?) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora