~ Capitolo otto ~

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«Ora va', giovane Anima Gelida, e scrivi il tuo destino».

Il ricordo si dissolse, svanendo dietro quell'ultima frase. Erik arrestò la sua corsa, colpito dall'importanza di quella memoria che a lungo tempo era rimasta assopita dentro di lui: ecco perché l'appellativo di "Anima Gelida" gli suonava così famigliare! Ecco da dove proveniva il timore che quelle parole sembravano infondere in lui!

Ora si spiegava l'inquietudine da lui provata in seguito alla cerimonia, i discorsi interminabili e accorati che si scambiavano i suoi genitori e che lui origliava nascosto dietro la porta del salotto, il saluto disperato della madre prima della sua fuga. I suoi sapevano, sapevano tutto. Loro erano a conoscenza del significato delle parole dell'Oracolo e del mistero che celava il colore assunto dai suoi occhi granitici. L'unico che per tutto quel tempo non aveva capito nulla era lui, muto spettatore del suo destino, pedina di una maledizione.

«Oh, ci sei arrivato! Era ora...» sghignazzò la voce del suo inconscio.

«Sai, sei particolarmente irritante oggi...» borbottò il ragazzo.

«Grazie per il complimento, caro». Quell'affermazione fu seguita da una risatina di scherno, che si fece poi sempre più fioca, fino a spegnersi.

Sospirando, il giovane alzò lo sguardo dal terreno e lo portò indietro, volendo apprendere la distanza da lui percorsa. Quasi immaginava di trovarsi davanti le mura del villaggio, con le guardie affacciate e i popolani a infierire su di lui come belve. Sapeva che ciò non era possibile, sapeva di aver corso a lungo. Eppure si chiedeva se i campi imbruniti che aveva scorto mentre ricordava la sua Cerimonia dell'Oracolo non fossero solo un miraggio, un'allucinazione frutto di una fatica estrema e sfibrante. Era davvero fuggito, o non si era allontanato di un passo dalla sua casa?

Scorse invece un'indefinita landa di nulla, spoglia come un deserto freddo e racchiusa ai due lati dalle montagne, che sembravano avvicinarsi sempre più, fin quasi a convergere. Seguì la terra con gli occhi, ammirando il suo lento sfumarsi in tonalità tra il marrone e il grigio, fino a giungere alla punta dei suoi piedi, coperti da due stivaletti neri che, prima immacolati e lucidi, erano ora imbrattati di fango melmoso. Lì il terriccio impallidiva e lasciava il posto alla dura roccia.

Così come i lupi drizzano le orecchie per percepire nell'aria lo scalpiccio soffocato delle prede, il giovane si concentrò sui suoni del mondo che lo circondava, cercando un minimo segnale ostile. Almeno da quel punto di vista poteva ritenersi esperto: il suo udito si era sviluppato notevolmente nel corso delle mille peripezie affrontate con i suoi amici. Non sentì nulla, se non il debole sussurro della brezza che arruffava la polvere. Nessuno sembrava averlo seguito. Era solo.

Sorrise, rincuorato e rinvigorito allo stesso tempo. «Ah, ah! Le mura ti hanno tradito, Brennus!» gridò con tutta la forza che aveva nei polmoni. Il vento gli restituì l'eco.

Stupito dal fenomeno, Erik alzò un piede, per poi riabbassarlo con forza, percuotendo la pietra compatta. Il suolo vibrò potente sotto di lui, propagando nell'aria immobile onde sonore che si schiantavano dietro le sue spalle, esplodendo in un'eco prorompente. Quel canto così potente, oscuro, rimbombante era quasi sinistro, inquietante, ma il ragazzo sapeva cosa voleva dire: la terra sotto di lui era cava, fragile sotto un sottile strato roccioso, e il suo vibrare esplodeva a contatto con una parete. Ma, se ora scorgeva solo polvere e sabbia e le montagne parevano ancora troppo distanti per convergere, da dove si scaturiva l'eco?

Il giovane era confuso: quasi temeva di voltarsi e scoprire le ragioni di quel fenomeno. Eppure, qualcosa si accese nella sua mente, il ricordo sfumato di una lunga e noiosa spiegazione del padre. Al sopraggiungere di quella memoria, il ragazzo si affrettò a girarsi.

L'erede di Frost Soul (Vecchia versione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora