~ Capitolo dodici ~

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Un raggio di luce argentata solleticò le palpebre del ragazzo, scivolò leggiadra lungo gli zigomi pronunciati e lasciò un tenue bacio sulla sua guancia pallida come nebbia, per poi dileguarsi non appena gli occhi, taglienti frammenti di cristallo, accennarono ad aprirsi. La pupilla cominciò a tremolare sotto la palpebra ancora calata, le ciglia fremettero e due iridi, come cocci di vetro, riflessero di colpo i bagliori iridescenti di una luna lattea, splendente.

Erik, appoggiandosi sul gomito sinistro, si portò la mano destra alla testa e si scompigliò i capelli, mugugnando assonnato e confuso. Passò l'altra sul terreno, ma non percepì alcun contatto. Si sentì come sospeso in un'aria immobile, leggera: non un alito di vento gli accarezzò le guance, né la sensazione di piacevole frescura che la notte avrebbe dovuto portare con sé lo pervase. Tutto ciò che, come un fragile filo di seta, lo legava al mondo era un sentore tra l'acidulo e l'amaro che gli impregnava le labbra sottili. Vi passò sopra la lingua, come se in quel sapore sgradevole si trovasse la chiave che gli avrebbe riaperto le porte della realtà.

Dopo qualche istante, provò a guardarsi intorno, ma la sua vista era ancora sfocata e incerta, come la sua mente: riusciva appena a distinguere il blu oltremare di un cielo puntinato di stelle, il candido splendore di una luna più grande del solito e la superficie baluginante di un lago che pareva di cristallo. Tornò a sdraiarsi e a disperdere lo sguardo nella volta celeste che lo circondava come un pregiato velo, in attesa di riuscire a focalizzare le singole stelle.

Gli ci vollero alcuni minuti, o, perlomeno, quelli che a lui sembravano minuti, per riprendere pienamente conoscenza. Ma quando ciò avvenne, non si sentì meno confuso, anzi...

«Dove sono?» strepitò.

Fece per tirarsi in piedi, ma le gambe, ancora intorpidite e traballanti, non lo ressero, per cui si ritrovò a cadere in terra come un cumulo di rovine. Per ammorbidire l'impatto, si sorresse con le mani, ma, non appena le allungò davanti a sé per appoggiarle, perse quel poco colorito che aveva conservato.

«Ma che diamine...» gemette, mentre sul suo viso si dipingeva il panico, la paura vera: le sue mani erano diafane, e i colori le attraversavano come se fossero state fatte d'aria. «Che mi è successo? Non sarò mica...»

«No, Erik Gondar, non sei morto. Per ora, almeno.»

Una voce mostruosa attirò l'attenzione del giovane, che cominciò ad agitarsi, preso da timore. Sobbalzò a scorgere la famigliare figura di un ragazzo trasparente, del tutto uguale a lui se non per la scintilla maligna che gli insanguinava le pupille assottigliate.

«Ancora tu...» sibilò Erik.

«Io in persona! Sorpreso di vedermi?» esclamò l'anima, le labbra arricciate in un sorriso degno del più feroce dei vampiri.

«Cosa hai combinato questa volta, maledetta?» ringhiò il principe, dopo un nuovo, fallimentare tentativo di rialzarsi.

Lo spirito proruppe in una profonda risata gorgheggiante, un lugubre incubo, il rombo di un fiume in piena. «Oh, niente di che, solo uno scherzetto» disse, senza smettere di sghignazzare.

«Dimmi cosa mi hai fatto!» gridò Erik, accecato dalla furia che si era accesa nel suo cuore.

«Non ti scaldare, amico!» esclamò lo spettro, portando avanti le mani come se volesse difendersi. Poi riprese a ridere più forte di prima, col viso rivolto verso il cielo e le braccia strette attorno all'invisibile pancia. «Non credi sia un po' inutile, a questo punto?»

«Cosa. Mi. Hai. Fatto!» sillabò Erik, furibondo, stringendo i pugni trasparenti.

L'anima si ritrasse con un gesto improvviso, quasi fosse stata colpita dal tono minaccioso dell'interlocutore. Ciò che tradiva una tale reazione era il suo volto, sempre atteggiato in un'espressione spietata, sadica, folle. «Oh, che paura! Mi vedo costretta a raccontarti tutto, non voglio mica farmi picchiare da te, o potente energumeno!» recitò.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 22, 2022 ⏰

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L'erede di Frost Soul (Vecchia versione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora