CAPITOLO 15

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ISABELLE

Guido per le strade ghiacciate mentre i fiocchi di neve che cadono dal cielo si intensificano sempre di più offuscandomi la visione della strada, cerco di vederci qualcosa con i fanali accesi ma è come camminare ad occhi chiusi in un vicolo sconosciuto, non sai cosa ti aspetta.

Ecco che d'improvviso quello che penso sia un cervo spunta dal nulla piazzandomisi davanti, così di scatto sono costretta a svoltare per non prenderlo finendo inevitabilmente contro un muro di neve, faccio un respiro profondo cercando di mantenere la calma, poi inverto la marcia e metto la retro ma quando clicco sull'acceleratore non mi muovo di una virgola, fantastico!

Sbatto i calmi sul volante facendomi anche male per la frustrazione, che serata di merda, cerco di vedere qualcosa dai finestrini ma nulla, non si vede niente se non la strada vuota e la neve che cade a fiocchi, sono nel bel mezzo delle montagne nel nulla più assoluto se non mi iberno oggi non succederà mai.

Poggio la nuca contro il poggiatesta del sedile e chiudo gli occhi per ragionare, non devo farmi prendere dall'ansia o dall'agitazione perchè in ogni caso non risolverei un bel nulla, poi ecco che decido: mi infilo la giacca chiudendo dall'ultimo al primo bottone, prendo la borsa infilandosi nelle tasche il cellulare e i documenti, mi avvolgo la sciarpa intorno al collo e scendo dalla macchina per cercare aiuto, anche perchè rimanendo ferma non riuscirei a risolvere molto. Cammino per quello che penso sia un chilometro e due, sento le mani gelate e la sensibilità svanire a poco a poco, il freddo entrarmi nelle ossa, la vista appannarsi e le gambe appesantirsi, non senso più le forze in corpo ad ogni passo in più che compio, il respiro si fa sempre più flebile e più vado avanti capisco di star camminando completamente alla cieca.

Maledetta io e la mia testa dura, avrei dovuto ascoltare i Miller, che sia maledetto anche quel moro del cazzo!

Più cammino e più sento la vista e la forza abbandonarmi, non sono più lucida, non riesco più a pensare o a respirare normalmente, quando una gamba cede al mio peso cado a terra ferendomi al viso e causandomi altro dolore alle mani bendate appoggiandole a terra; gemo dolorante raggomitolandomi su me stessa tremante.

Tremo come una foglia nel vento frenetico dell'autunno, persa nel cielo senza una meta predefinita.

Sento le palpebre farsi pesanti e la vista appannarsi, sbatto piano gli occhi cercando di mettere a fuoco ciò che mi circonda ma non vedo nulla, solo una distesa bianca che abbraccia lo scuro della notte, il nero e il bianco in un intreccio di contrasti ma comunque perfetti. Solo una cosa accomuna quelle distese monocrome ovvero il freddo che nascondono al loro interno, tanto misteriose all'esterno quanto deboli dentro, il cielo notturno puntinato da stelle, appare agli occhi di chi lo ammira, uno sconosciuto infinito ed agli occhi di pochi paradossalmente luminoso nella sua oscurità; la neve invece, quella distesa bianca e ammaliante, che quando arriva porta molta allegria nei cuori delle persone, nasconde quel suo lato fatale, bella ma pericolosa.

Tanto diversi quanto meravigliosi se abbracciati.

Intravedo una figura in lontananza farsi sempre più grande ad ogni passo che lo avvicina a me, ma non riesco a metterlo a fuoco, vedo solo un ombra scura dai tratti familiari ma che non riesco a distinguere, fino a quando non vedo più niente.

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Il buio avvolge la mia anima dispersa in un vicolo di oscurità, povera e fragile, si sente in cuor suo ma lei continua ad avanzare consapevole che da un momento all'altro qualcosa potrebbe succedere, ma non le importa procede tentennante e tremante per quella strada tortuosa la cui fine sconosciuta, attirata da qualcosa che neanche lei conosce ma di cui non riesce a far a meno; il corpo cagionevole la cui pelle candida sporcata da tagli e ferite ancora vive, ancora fresche, un quadro perfetto dalla tela strappata, ecco cos'era quell'anima.

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