Capitolo 3

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Dopo pranzo avevano sonnecchiatto un po', l'una tra le braccia dell'altra. Si erano svegliate quando ormai era tempo di andare in biblioteca a ripetere. Carlotta aveva trascinato la sua borsa sulle spalle ed aveva dato un morso alla barretta che Sveva le aveva precendentemente ceduto. Aveva lo stomaco chiuso in una morsa.

La biblioteca era poco distante dal campus, un paio di minuti a piedi. Quando erano arrivate si erano fatte quasi le sei e Sveva sperava che per quel giorno Matteo fosse già passato in biblioteca. Il suo posto preferito era al primo piano lungo le finestre. A volte era solo, a volte con qualche amico. Sveva saliva di tanto in tanto per sbirciare ma era sempre rimasta a debita distanza.

Anche quel giorno si sedettero al solito tavolo, già occupato da Luana. La ragazza era con la testa china sui libri, i capelli a nasconderle il viso. Non si accorse delle due ragazze fino a quando Carlotta non aveva riversò i suoi libri sul tavolo, provocando un gran frastuono. La bibliochetaria le aveva persino fatto un segno con la mano come a dire "Silenzio".

« Totta mi hai fatto prendere un colpo, sei mica scema! ». La ragazza le aveva risposto con una smorfia, sedendosi al suo fianco con Sveva di fronte.

« Oggi questo posto è proprio l'unico in qui non vorrei essere. Accettate il mio malumore per una volta ». Le altre due si erano guardate, sospirando all'unisuono. Dopo pochi minuti, due erano con le cuffie alle orecchie e l'ultima, Sveva, era intenta a sottolineare i fogli che aveva di fronte. Maledetto il giorno in cui scelsi Economia Azendiale.

Con le mani sui capelli pronta a farsi una coda, non si accorse di una mano che si poggiò sulla sua spalla. La mora si girò verso il diretto interessato e le labbra le si curvarono in un sorriso quando si ritrovò davanti Alessio.

« Hey, ciao Totta! Ciao Lu! E ovviamente a te Sve ». Le posò un bacio sfuggente sulla guancia, sedendosi accanto a lei. Le ragazze lo salutarono, abbassando subito dopo la testa sui libri. L'unica che non aveva più testa per studiare era ormai Sveva, che si era ritrovata con la testa appoggiata sulle braccia incrociate. Il ragazzo, nonostante avesse quasi ventotto anni, era ancora bellissimo come durante i suoi venti anni. I capelli cortissimi curati nei minimi dettagli, la frangetta che gli sfiorava la fronte, il naso prorompente e le labbra carnose, le spalle larghe e lo stile da skater che le era sempre piaciuto.

Alessio era stato la classica relazione adolescenziale durata dai suoi diciotto fino ai ventidue. Avevano condiviso tanto, la loro prima volta, le prime vacanze, il primo appartamento che avevano condiviso con gli altri ragazzi. Alessio era stato tutto per molti anni. Era stato amante, fidanzato, amico e confidente. Era stato la spalla su cui piangere quando i suoi genitori le avevano chiuso la porta in faccia ed il braccio su cui sorreggersi a causa delle troppe risate ogni volta che Paco, il loro staffy, combinava casini. Erano stati una famiglia per tanto tempo, e quando Alessio aveva deciso di tradire Sveva dopo ben quattro anni insieme, lei non aveva assolutamente avuto il coraggio di buttarlo a suon di calci fuori di casa.

Avevano smesso di essere una coppia, ma Alessio era rimasto per Sveva come lei era rimasta per lui. Lui le aveva sorretto i capelli quando Sveva si era svuotata l'anima dopo l'ammissione di Alessio e lei era andato a cercarlo nelle notti in cui il peso che portava sulle spalle era troppo pesante da sopportare. Poi Carlotta era apparsa nel loro appartamento e finalmente le cose erano diventate meno pesanti per entrambi. Lei aveva trovato una sorella e lui si era tolto quel peso dalle spalle, nonostante fosse ancora irrimediabilmente innamorato di lei. Ma si sà, quando si ama una persona, per davvero, si farebbe di tutto per renderla felice. L'aveva lasciata andare, ma non era mai sparito dalla sua vita, Nossignore. Era la ragazza più importante della sua vita e seppur fossero passati anni dalla loro rottura, Alessio non era mai più riuscito ad avere una relazione con nessuna.

Sveva, dal suo canto, l'unica cotta era stato Matteo quattro mesi prima, dunque nessuno dei due poteva dire di essersi sbarazzati in fretta dei sentimenti l'uno per l'altra.

« Dunque, dov'eri finito? A lezione non sei venuto ». Alessio la guardò sogghignando, portando una mano sui suoi capelli, scompigliandoglieli.

« Piccolé, è finito il tempo in cui dovevi preoccuparti per me. Comunque se vuoi saperlo, mi sono addormentato e né Guido né questa qui – alzò un dito indicando Luana – mi hanno svegliato ».

Sveva alzò lo sguardo al cielo, un po' per l'accento romano che gli era rimasto nonostante erano anni che abitava a Milano e un po' per aver marcato il fatto che lei non avesse più nessuna voce in capitolo nei suoi confronti. Alla fine alzò le spalle sorridendogli, riappoggiando la testa sulle braccia. In quel momento uno scricchiolio proveniente dalle scale dietro di loro fece girare di scatto Sveva, ma per sua sfortuna, non era assolutamente la persona che si aspettava.

Sbuffò sonoramente, alzandosi con uno sbalzo. La sua migliore amica la guardò ridendo, avendo capito benissimo cosa stesse a significare quel comportamento improvviso.

« Bombolone? ». Chiese Carlotta, che ricevette come risposta affermativa un gridolino di gioia. Tutti e quattro si alzarono e seguirono quella folle della loro migliore amica. Poco distante dall'università si trovava un forno/pasticceria paradisiaco, tappa fissa di Carlotta e Sveva almeno un paio di volte a settimana. Qualunque ora fosse, Gilda aveva sempre dei bomboloni caldi per le sue ragazze, come le piaceva chiamarle. Arrivarono giusto giusto prima dell'ultima sfornata della giornata.

« Quanto siete fortunati ragazzi miei, due minuti e sono pronte! ». La signora si armò di guantoni a doppio strato e sorrise a quei quattro ragazzi. Era una gioia per donne come lei, che non avevano avuto figli, di poter lavorare a stretto contatto con un pubblico maggioritarmente giovane. Erano tutti figli suoi.

Quando Sveva si ritrovò il bombolone sbordante di crema bollente tra le mani, chiuse appena gli occhi concentrandosi sull'odore che quel pezzo di felicità emanava. Era il cibo degli dei. A Sveva solo il sentir parlare di carboidrati intrisi di olio le faceva battere il cuore a mille e la pancia a tremila. I suoi amici, tutti rigorosamente con un bombolone in mano, ridacchiarono a quella vista. La ragazza sembrava entrata in una specie di trance, quando aveva addentato quell'impasto cosi morbido e caldo, le si scioglieva quasi in bocca.

Fu in quel momento, dopo aver appena aperto gli occhi, che si accorse di Matteo, proprio sull'uscio del locale. Il ragazzo aveva le mani in tasca, le gambe leggermente divaricate e la stava fissando con le sopracciglia all'insù ed un cispiglio divertito sul volto. Quando vide il suo sguardo essere ricambiato, si ciondolò in avanti con quell'aria da macho che tanto attirava Sveva.

« Cosi la signora Gilda si è accaparrata anche te con i suoi bomboloni ». La ragazza quasi si affogò con il boccone che si trovava tra esofago e pancia. Gli sorrise imbarazzata stringendosi le braccia al petto, avvicinando ancora una volta il bombolone alle labbra.

« Sono i migliori di tutta Milano. Prenderei il diabete pur di continuarli a mangiare ». Matteo rise a quella risposta. Quella ragazza era tanto bella quanto divertente. Lui era sempre stato spavaldo e privo di filtri, non era presuntuoso nel dire che se la cavava più che bene con le ragazze. E Sveva in particolare gli interessava e pure molto. Aveva dunque messo in pratica tutte le sue doti da seduttore che aveva imparato con gli anni, anche grazie ai suoi amici e alle serate da sbronzi in discoteca.
Ma quando al lato di Sveva vide arrivare un ragazzo sul metro e novanta, ben impostato e con uno sguardo omicida, capii che era meglio togliere le tende. Si grattò la nuca con una mano, puntellando i suoi talloni sull'asfalto.
Sveva in quel momento si sentii morire dalla vergogna ma sopratutto dalla rabbia. Che cazzo voleva Alessio in quel preciso momento? Le orecchie le diventarono rosse dalla rabbia quando Matteo si scusò con il ragazzo accanto a me prima di filarsela, sempre con quella sua camminata.

« Mi spieghi che cazzo di problemi hai? Dio quanto mi fai incazzare Alessio ». Il ragazzo le sorrise per poi abbracciarla da dietro.

« Lasciamo stare, sei solo un coglione ». Si lasciò andare tra le braccia di Alessio, che nonostante tutto, tra le sue braccia, si sentiva al sicuro.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 17, 2022 ⏰

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