Capitolo 16.

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Le foglie delle querce si piegavano da un lato, assieme ai rami a cui erano appigliate, ogni qualvolta tirasse un soffio di vento. Gli aghi dei pini si limitavano a oscillare imperterriti, rigidi come chiodi.
Le folte chiome si sfregavano le une con le altre, creando un delicato fruscio gradevole all'udito.

Era l'unico suono che rendeva meno lugubre il bosco privato di Palm Springs: degli uccellini, infatti, non vi era alcuna traccia. Forse erano migrati verso le zone più calde del pianeta o, come Taylor non faceva che ripetersi, avevano semplicemente perso la voglia di cantare.

La ventenne si stava aggirando tra gli alberi, abitudine che aveva iniziato a prendere da qualche pomeriggio. Da quel pomeriggio.

Toccava la corteccia di ogni fusto che superava, come a volerne percepire la linfa vitale che permetteva loro di crescere forti e rigogliosi.
Ciascuno protendeva le robuste braccia al sole, i quali raggi, infuocati del tramonto, andavano a riflettersi sull'erba secca e sembravano quasi ripararla dal mondo esterno, proteggendola da tutto e tutti.
Le foglie che, invece, avevano abbandonato i loro confortevoli rami, in vista dell'autunno acquattato dietro l'angolo - nonostante mancassero alcuni giorni alla fine del mese di Agosto -, scricchiolavano sotto le suole dei suoi scarponcini marroni.

Taylor inalava lentamente quell'aria incontaminata, pulita, riempiendo i polmoni fino a scoppiare.

Il bosco era per lei l'unico luogo dell'intera California che, finora, le aveva dato moto di conforto.
Tuttavia, questa volta, non riusciva a ricavarne nulla: la sua mente era offuscata dai ricordi.

Ricordi che portavano un solo nome. Ricordi che, se ripescati, laceravano l'anima da parte a parte, privandola dei rari pensieri felici che cercavano inutilmente di emergere per alleviare il dolore.

Taylor era certa che non vi fosse un solo pensiero che avrebbe potuto rallegrarla.
Era come se si fosse spenta, come se nel suo cuore regnasse l'oblio più oscuro: non sentiva più niente.

L'eco dello sparo di un fucile a pompa la destò.
Voltandosi, si mise ad ascoltare il successivo boato, che non tardò a manifestarsi tra le fronde mosse dal vento.

Il silenzio che ne seguì le fece intuire che Jeff stesse ricaricando. Riprendendo a camminare senza una meta precisa, Taylor sospirò: il cuore del soldato, vivo per il sorriso che Elan gli donava, si era disintegrato, svanito così come la consapevolezza che non avrebbero mai più sentito la sua voce acuta.

“Non riesce a darsi pace” rifletté, scavalcando un tronco caduto.

Subito dopo, si chiese come potesse darsi pace quando nemmeno lei ne era in grado. Elan le aveva detto che non dovevano sentirsi in colpa, essendosi divisa dal leader di sua spontanea volontà, che fosse tutto okay.

“Non ce ne va una giusta, ormai, senza di te” Taylor sollevò gli occhi lucidi al cielo, incontrando una grossa nuvola dipinta appena di arancione.

Lei e Jeff non erano gli unici ad avere il morale a terra: il bunker non era mai stato così silenzioso.

Quasi si vergognava ad ammetterlo, ma le mancavano ardentemente le battute provocatorie di Andrea e i suoi ghigni compiaciuti; le risate sguaiate di Charlie nate dalle smorfie che comparivano sul viso di quest'ultimo, nelle volte in cui restava soggetto di un suo scherzo, e soprattutto le innumerevoli chiacchiere che si scambiavano mentre consumavano i pasti.

« Dannati zombie » sussurrò amaramente calciando un piccolo cumulo di foglie, le quali si alzarono e volteggiarono piano in aria, per poi toccare di nuovo il prato.

Sospirando ancora una volta, Taylor riportò lo sguardo alla nuvola e notò con noncuranza che si era leggermente spostata.

« Non meritavi questa fine » pronunciò a denti stretti, pensando alla possibile relazione che avrebbe potuto avere con Jeff, se solo si fossero dichiarati prima.

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