•capitolo 10•

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Shoyo teneva il conto dei giorni mancanti alla partenza verso Tokyo, dove si sarebbe tenuto il ritiro primaverile. Avrebbe visto la Tokyo Tower! Nishinoya e Tanaka gliel'avevano descritta come una torre colorata, fantastica e soprattutto alta, davvero tanto alta, era decisamente entusiasta.

Nel frattempo, si erano svolti degli esami scolastici di routine. Aveva studiato, lo giurava, si era impegnato tanto per davvero. Forse era perché passare gli esami fosse un requisito per partecipare al ritiro, una sorta di ripicca per gli alunni svogliati come lui che amavano lo sport, ma studiare molto di meno. Alla fine li aveva superati: con difficoltà, certo, non era un genio né tantomeno studioso, però l'impegno l'aveva ripagato e ora si stava concentrando solo sull'evento molto vicino.

I compagni di squadra, nel frattempo, avevano notato il distacco abissale creatosi tra Shoyo e Tobio, ma fortunatamente non accennavano nemmeno mezza sillaba a riguardo. Beh, faceva una fatica immane a far finta anch'egli di nulla, ma era sicuramente meglio di parlarne con chiunque, avendo timore di poter pronunciare qualcosa di inappropriato o, peggio, qualcosa di troppo.

La pazienza di Shoyo, comunque, aveva quasi raggiunto il limite. Durante il periodo precedente era divenuto tutto così monotono e grigio, nessuna macchia vivace colorava le sue giornate.
Probabilmente qualcuna ce n'era, ma nulla di eccezionale.
Nessun giallo intenso, nessuna grande felicità. Nessun rosso, nessuna passione, nemmeno rabbia. Poco arancione, poca armonia interiore. Probabilmente qualche altro miscuglio, ma era sicuro che il colore predominante fosse il verde, perseveranza e speranza; speranza in un miglioramento, nella vita e nello sport. Perseveranza in tutto, di questo ne era fiero; da quando era cambiato tutto drasticamente, aveva imparato che la perseveranza va inserita in tutto, che bisognava resistere, finché si poteva, che tutto aveva bisogno di un minimo di attenzione. Aveva imparato a non sopportare la superficialità, invece. Pensava che almeno nelle decisioni importanti bisognava dare un'occhio in più a quel che si faceva, pensando alle possibili conseguenze. E okay, ci stava lavorando, in realtà. Non ci era riuscito ancora appieno, ma l'avrebbe fatto.










23 marzo. 13:03. Tokyo.

Il bus prenotato dalla Karasuno era appena giunto a destinazione. Giusto qualche minuto prima la squadra aveva terminato di pranzare, dopo aver sostato ad una stazione di servizio per acquistare dei sandwich, che a detta di Tanaka e Nishinoya erano decisamente deliziosi. Certo, se solo non ne avessero mangiati a bizzeffe, arrivando quasi a scoppiare dalla pienezza; fu esilarante la scenata di Sugawara e Daichi che rimproveravano gli altri due, data la loro alta sconsideratezza.

La Tokyo Tower era esattamente davanti a loro, e Shoyo in quel momento stava dando ragione ai compagni di squadra sulla sua altezza: ben 333 metri! Gli occhi sbalorditi di parecchi ricaddero sulla torre, ma, comunque, non era il motivo per cui fossero lì. Difatti il professor Takeda, dopo un suo solito monologo sul luogo in cui si trovassero, il quartiere di Shiba-kōen di Minato, li condusse verso l'albergo dove avrebbero soggiornato. Sistemarono nelle camere comuni i bagagli preparati per i successivi 6 giorni, riposarono per la stanchezza dal viaggio, e si prepararono per la prima partita.
Nekomata e Ukai si erano messi d'accordo: ebbene sì, il Nekoma sarebbe stata la prima squadra con cui avrebbe giocato il Karasuno.

I raggi del sole ancora illuminavano la città, le strade brulicavano di persone di ogni età, al di fuori dei negozi file interminabili occupavano la maggior parte dei marciapiedi, la vitalità la si notava persino osservando una bambina che dalla finestra della sua dimora salutava i passanti dolcemente.
I ragazzi fecero il loro ingresso nell'enorme palestra, indossarono la divisa sportiva e cominciarono con una serie di esercizi di riscaldamento; in seguito i due capitani si strinsero la mano, mentre Shoyo sorrideva contento a kenma e vari componenti di entrambe le squadre si scambiavano sguardi di sfida. Dal fondo del campo Kageyama diede inizio al primo set con una battuta, dopo il fischio dell'arbitro.
C'era dinamicità in ogni passaggio, movimento e pensiero; terminò il primo set con la vincita del Karasuno 22-25, e passato tempo debito anche il secondo, stavolta con la vincita del Nekoma. Non vollero tirarla troppo a lungo, essendo una semplice amichevole: decisero quindi di terminare con un pareggio.

Fu una giocata piacevole, priva di eccessivo accanimento, probabilmente divertente; Shoyo perlomeno si divertì parecchio quel pomeriggio. Il buio aveva sovrastato il cielo di Tokyo, nonostante ciò alcuni dei giovani pallavolisti preferirono rimanere nell'edificio, chiacchierando e divertendosi mentre continuavano a giocare tra loro.

Ciò si ripetè il giorno successivo e quello ancora dopo; durante la mattina del 25 marzo aveva avuto luogo un'amichevole tra Karasuno e Inarizaki, dunque Hinata approfittò del momento per chiedere delle alzate ad Atsumu Miya.
Però, bisognava specificare che accadde solo dopo le ripetute e canticchiate richieste dallo stesso Atsumu, che con decisione e testa di coccio volle assolutamente allenarsi con il piccoletto. Fecero loro compagnia anche Bokuto e Kuroo che, dall'altra ala della palestra, avevano giocato la mattina stessa insieme alle loro squadre; erano presenti anche Kenma e Akaashi, troppo stanchi e impegnati a raccontarsi gli ultimi avvicendamenti.

Quella sera, lontano dal trambusto ma non eccessivamente lontano, passeggiava Tobio. Per sua dannata curiosità, non mancò di avvicinarsi: incrociò lo sguardo di Shoyo per puro caso e notò il suo divertimento. Volle avvicinarsi, unirsi alla mischia, ma era per lui un'idea irragionevole. Pensieri irrazionali gli tartassavano il cervello, trasalì un secondo mentre faceva ritorno all'hotel.

Era talmente distratto da non notare che Hinata l'avesse salutato. Non se lo aspettava, ma non si aspettava nemmeno che, quest'ultimo, l'avrebbe raggiunto di fretta e furia dopo aver raccolto il suo borsone per chiacchierare.
E sì, esattamente, chiacchierare.
Shoyo ci aveva ragionato su: voleva godersi la settimana tranquillamente, non voleva avere rancori in futuro. Non pensò molto razionalmente in quel momento, ma voleva conversare con Tobio come accadeva nei vecchi tempi, quasi ignorando la sua situazione. Tobio Avvertì un flebile "Oi! Ooi kage!". Di certo riconobbe la sua voce facilmente, girandosi di colpo.
Appunto, non si rivolgevano la parola realmente da quella sera, sotto la neve, nel negozio di Ukai. Era strano tornare a parlare e la tensione era parecchia.
-Pensavo ti stessi allenando con gli altri
-Dici bene, stavo.
-Fa freddino stasera, vero?
notò il corpo del bassino tremare non appena un soffio di vento investì i due.

L'istinto sussurrò al moro e non seppe il vero motivo, ma sentiva di avere il bisogno di riscaldare il rossiccio, che due passi più avanti sentì qualcosa posarsi sulle sue spalle: Tobio si era svestito della giacca per prestarla all'altro, abbracciandolo da dietro improvvisamente. Le braccia che contornavano il suo petto, stringendolo per la prima volta in quel modo, facevano fiorire in lui una sensazione di piacevolezza, un paradosso che non gli dispiaceva affatto.
Sfortunatamente, il senno di entrambi tornò brevemente. Shoyo godè ancora per un po' del calore donatogli dall'altro, si voltò sorridente e affermò "domani mattina ti riporto la giacca, buonanotte Kags".

Lui sorrise a sua volta, notando la figura di Shoyo allontanarsi gradualmente. Giunto alla sua camera, aveva nuovamente bisogno d'aria: voleva osservare il cielo serale sul piccolo balcone, il cui accesso era dalla camera principale.

Assorto nei pensieri, buttò la testa all'indietro, sbuffando rumorosamente. Insomma, non gli piaceva per nulla soccombere nell'ignoranza di non saper cosa girasse per la testa del bassino, ma specialmente nella propria. Quel che aveva fatto era perché l'aveva sentito nel profondo, ma allo stesso tempo sentiva che qualcosa non andasse. E sì, un particolare lo disturbava profondamente: perché diamine chiedeva alzate agli altri, quando in squadra c'era lui a disposizione? Ma non pensò che forse una ragione ci fosse davvero, e che la ragione, ovviamente, fosse lui stesso.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 17, 2022 ⏰

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