" Il morbo si diffonde anche dai cadaveri, se uccidete gli infetti il morbo può attaccarsi ad altri organismi da parassitare, l'unico mondo per distruggere il morbo in un infetto è recidere il midollo spinale... Tagliategli la testa!", furono queste le parole di uno stanco dottor Thaler, era giunto nella nostra caserma correndo. Aveva scoperto, non so come, che una volta ucciso un infetto, il morbo, evolvendosi in un parassita, è capace di uscire dal cadavere dell'ospite alla ricerca di un nuovo corpo da infettare nelle vicinanze. Il dottore aveva scoperto che il morbo si insedia nel cranio, distrugge il sistema immunitario, prende il controllo del encefalo, usa il midollo spinale per diffondersi nel corpo e attraverso il corpo stesso si nutre, fagocitando le cellule. L'ospite rimane in vita anche se ha perso il controllo, ma quando viene ucciso l'ospite, il morbo continua a nutrirsi per un periodo molto lungo e, attraverso una metamorfosi a parassita, salta da un corpo morto a uno vivo.
Secondo il dottore per uccidere l'infetto e il morbo, interrompendo la sua evoluzione a parassita, è necessario recidere il midollo spinale nel momento esatto della morte dell'ospite o il prima possibile. Ai miei occhi l'unico modo possibile era tagliare la testa all'ospite, quindi chiamai a me i poliziotti e li condussi nell'ala abbandonata della caserma chiusa dieci anni fa, in cui erano conservate armi usate dall'esercito inglese, ora in disuso. Avevo intenzione di cercare quelle vecchie armi (se ancora utilizzabili) per uccidere gli infetti tagliandogli direttamente la testa. Io trovai una vecchia falce per il grano, bastava affilarla e sarebbe stata capace di uccidere in un colpo, Dylan trovo una sciabola da ussaro, un altro un'alabarda da parata e altro ancora una claymore scozzese, grazie a Dio, erano di recente fattura. Riuscimmo con favore del giorno ad affilare le lame in una fabbrica non lontana dalla caserma, e quando giunse la notte, era per noi l'occasione per provare la nostra nuova strategia, ma per sicurezza feci portare a tutti le loro armi d'ordinanza, insieme ad alabarde e spade che sembrano uscite da qualche romanzo cavalleresco.
Mi trovavo per le vie di Nottingham. Le piogge avevano lavato le strade, che ora luccicavano sotto la luce della luna calante, i palazzi bui di Nottingham sembravano cadermi addosso come se spinti dal cielo stellato. La luce della lanterna tagliava attraversava le oscure strade inzozzate da morte e sangue, nel silenzio lunare gli echi delle urla si sentivano in lontananza. Come canti di una cantante lirica in pena, la cui melodia sembrava così chiara, davanti alle strade deserte, con qualche cadavere dimenticato qui e lì, con la vita che sembra appeso a un filo di lama. Infondo alla strada sembrava esserci la porta dell'inferno, così buia che era, la corrente elettrica era stata tagliata, la luna era il mio personale lampione. I passi dei miei stivali riecheggiavano, i cani abbaiavano, avevo i brividi per il freddo e la luce si rifletteva sulla falce che mi ero portato dietro. Cominciai a fischiettare la mia composizione preferita, la Lacrimosa di Mozart, l'avevo sentita ad un funerale di un musicista che aveva chiesto che venisse suonata al suo ultimo saluto, ma mentre rimembravo quel momento un urlo si levò nell'aria:" HO FAME!!!". Un infetto corse verso di me, dannato per la fame, non feci in tempo a prendere la pistola che mi saltò addosso, avevo davanti a me il suo volto distrutto per il morbo, i suoi occhi erano totalmente neri, i denti lunghi e sporchi di sangue, l'alito aberrante. Tentava di graffiarmi con le sue marcie unghie, distrutte per aver dilaniato chissà quanta carne, si dimenava sbavando ovunque, lo tenni a distanza mentre mi sfiorava per poco il volto, gli diedi una forte testata e gli sparai all'addome, si alzò dolorante mentre io mi allontanai e presi saldamente in mano la falce. La alzai al cielo, cercai di incanalare tutta la forza che avevo in corpo nelle braccia, l'infetto mi guardò diritto negli occhi, digrignando i denti e mentre la luce della luna brillava su di me, sferrai il colpo; la falce viaggiò nell'aria inarrestabile e incontrò la carne del suo collo, misi tutta la forza che avevo in corpo e poi SHING, la falce attraversò il collo dell'infetto, persi per un attimo l'equilibrio per la troppa forza che avevo messo, rischiai di cadere ma riuscì a stare in piedi e assistere alla scena davanti a me. La testa dell'infetto prese il volo e cadde pochi centimetri da me, il corpo senza testa di quel essere, per pochi secondi, traballò qua e là ma cadde a terra a peso morto, mentre il sangue zampillava come una fontana oscura. Il dottore sembrava avere ragione, un segno dell'infezione era sparito dalla testa mozzata, gli occhi erano diventati bianchi, e secondo gli studi del dottore era segno di morte del morbo, cosa che non era successo su altri cadaveri di infetti.
In quel momento un uomo ubriaco si avvicinò a me:" Che diavolo fate commissario, prima spargete il morbo e poi ammazzate le vostre creazioni"
"Come ti permetti bifolco?!?"
"Tutti sanno che siete stati voi... hic! ... avete diffuso il morbo per farvi gli eroi, siete degli idioti megalomani!!"
"Cosa diamine fa pensare che saremo capaci di qualcosa di così orribile??"
"Lo dicono tutti, bastardo di un commissario!", presi la pistola e lo minacciai:" Gira a largo e non farmi innervosire, qui è molto pericolo!", mi fece qualche gestaccio e se ne andò. In quel momento, però, il mio pensiero era rivolto agli altri poliziotti. Avevo ordinato a Dylan di recarsi con una squadra nei bassifondi, ma il mio sesto senso mi diceva che c'era qualcosa che non andava, sotto questo cielo di lacrime sanguinee.
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Così cadde Nottingham
FantasyAccadde qualcosa a Nottingham nel 1890, in un freddo pomeriggio d'ottobre. Una forza oscura conquistò la città rendendola schiava del sangue, della morte e dall'odio, cupi mietitori vagano per le strade, dottori disperati di fronte ai pazienti incur...