Guardavo la strada di fronte a me, mi sentivo totalmente perso in quell'atmosfera. Sentivo su di me un cupo respiro, come se il diavolo avesse deciso di pedinarmi. Le gambe si irrigidivano sotto lo sguardo del niente, il vento mi passava a dosso viscido e freddo, fischiava come una cupissima melodia, un requiem apposta per me. Ansia mi assaliva, tra quei palazzi e quella luce lunare soffusa, o Luna potessi raggiungerti. Quella calma così apparente mi rendeva nervoso, ma all'improvviso si udì un grande frastuono, mi voltai e vidi un enorme massa informe uscire da una casa sfondandola. Rimasi impietrito mentre la polvere si dissolveva, e in quella notte illuminata dalla Luna non dimenticai mai ciò che vidi. Una cosa si ergeva di fronte a me, un mostro, non saprei come descriverlo: era enorme, distinsi due braccia di lunghezza diversa con artigli affilati, dalla schiena curva e piena di pustole uscivano degli arti con all'estremità delle lame, una testa tra il rettile e il lontanamente umano, zampe equine, un busto e un addome deformi, era pieno di ferite grondanti di sangue, aveva gli occhi rossi come rubini e una bocca enorme. Mi guardò fisso e ruggì forte, da far tremare i vetri, quasi da far fischiare le orecchie, non sprecai un attimo e mi misi a correre. Correvo come un lampo, senza voltarmi, mi sentivo le gambe leggere come se si muovessero da sole. Nelle mie orecchie c'era solo il mostro che, ruggendo, si muoveva tra i palazzi devastandoli con la sua stazza e i suoi arti che uscivano dalla sua schiena. Badavo solo a correre, mentre di fronte la città cambiava di continuo, mi sentivo perso, come un morto che cammina. Una delle tante botteghe di Nottingham si presentò davanti a me, vi entrai senza perdere tempo, avrei fatto di tutto per fuggire da lì. Era una sartoria, c'era un innaturale silenzio, i passi del mostro si udivano ovunque, il terreno tremava come se stesse eruttando un vulcano, i suoi versi erano disgustosi, sembravano i versi di un coccodrillo o quelli di cinghiale. Mentre tutto tremava mentre i vestiti appesi sembravano fantasmi rancorosi, bianchi com'erano. Una puzza di morto si percepiva, il cadavere del sarto era in un angolo, trafitto da una coltellata, ucciso solo perché non era inglese, qualcuno pensava avesse portato il morbo. All'improvviso i passi si fermarono, un odore insopportabile invase la bottega, mi voltai lentamente mentre le ossa del mio collo scrocchiavano piano piano, e vidi accanto a me il mostro che faceva capolino dalla porta. Ero nel buio che mi contorcevo per nascondere ogni centimetro del mio corpo nell'ombra, il mostro uscì e con il braccio più piccolo prese il cadavere del sarto e lo portò con sé. Rimasi impietrito, mi alzai tremante e sudato, mi affacciai e il mostro si stava allontanando con in mano... il suo pasto.
Andai avanti a passo svelto, presi di nuovo la mia falce, mi era caduta nella fuga, e ignorando qualsiasi cosa mi diressi verso i bassifondi dove sicuramente Dylan si era diretto. Io mi trovavo nei quartieri benestanti, che si trovano al centro della città, mentre i bassifondi nella periferia, sormontati dalle ville dei nobili, la più grande quella della famiglia Neville. Sicuramente i "nobili" hanno corrotto dei poliziotti per aver più protezione rispetto ad altri, una vigliaccheria degna di loro. Una parte di me sperava che qualcosa gli sarebbe accaduto, giusto per fargli provare un po' della sofferenza della gente comune, ma un'altra diceva "proteggili!", o forse meglio vederla come necessario salvare più sani possibili, in modo che chi ancora non si è trasformato si salvi.
La città si era tramutata in una grande orchestra di urla, come dei violini le grida di disperazione dei sopravvissuti si perdevano nell'aria, ignorati da tutti, le urla degli abomini che stanno infestando la città risuonano come timpani costanti, come campane gli spari casuali che in tutta la città rompono il silenzio della morte. Camminavo per la città pensieroso. Tutto preso dal prevedere cosa mi sarebbe toccato affrontare in quelle poche ore che separavano Nottingham dalla mezzanotte. Mio padre mi raccontava da piccolo delle storie (inventate da lui) su uomini che si trasformano in lupi, licantropi li chiamava. Quando la sera mi raccontava quelle storie, da una parte dicevo:" Non uscirò mai la notte!", ma un'altra mi faceva dire:" Un essere umano non può trasformarsi in un lupo, papà... perché dici certe sciocchezze.". In ogni caso io stavo zitto a fissare gli occhi di mio padre mentre dalla sua bocca uscivano parole come sangue, strazio, eroe, vita e morte, poi mi rigiravo nel letto pensieroso. Ora combatto davvero i licantropi, la Luna sembra quasi un conforto per loro e per me, si trasformano dopo un essere più piccolo di un moscerino gli entra nel cervello e diventano licantropi. Mio padre, se avesse assistito a tutto questo, avrebbe passato notti intere a raccontare storie, magari con lui protagonista, di come uomini si trasformano in animali selvaggi quando vengono morsi dalla diabolica cavalletta, ma lui non c'è più, è morto combattendo contro gli Zulu in Africa. Chissà quante storie mi avrebbe raccontato.
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Così cadde Nottingham
FantasyAccadde qualcosa a Nottingham nel 1890, in un freddo pomeriggio d'ottobre. Una forza oscura conquistò la città rendendola schiava del sangue, della morte e dall'odio, cupi mietitori vagano per le strade, dottori disperati di fronte ai pazienti incur...