La rapina

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Una ladra vagante per le strade di New York. Non mi sono mai sentita più indipendente, più forte, più me stessa, di quanto mi senta in questo istante. Svolto in un secondo vicolo, senza sapere dove sto andando: non mi genera ansia, nulla può farlo adesso. Continuo a camminare con un mezzo sorriso sulle labbra, gli occhi soddisfatti e il volto rilassato, mentre i ricordi di pochi minuti prima riaffiorano...
-Nascosta dietro l'uomo più potente della città, c'era la mente di tutto ciò che lui compieva: io. Chi avrebbe mai potuto immaginare una donna stolta e di basso ceto sociale, come principale elemento di grandi e maestose rapine? Nessuno, eppure, sono presente. Gli ho mentito, ho progettato questa banale bugia per anni, ho speso ore ed ore a studiare la piantina di una semplice gioielleria in periferia, solo per mentirgli. Non ce ne andremo sulla solita limousine nera lucida, non torneremo nel suo lurido ripostiglio, non sarò invisibile un secondo di più. Il colpo non è terminato come gli ho riferito, questa non è la fine di un furto, ma è la fine di una sottomissione che sembrava infinita, fino ad oggi. Questa rapina sarà ricordata per il coraggio di una signora. Salgo la scalinata correndo e ridendo quasi in modo disperato, ancora una volta. Mi affaccio alla finestra e lo vedo, come d'abitudine, nella sua costosa auto e con una sigaretta tra le dita. Si trova accanto all'ingresso sul retro. Mi aspetta, ma io non verrò, non sta volta. Non ha idea del perché stia tardando, riesco a notare da così in alto la sua fronte aggrottarsi, e tutti i muscoli irrigidirsi gradualmente: la consapevolezza di possedere i mezzi per fuggire da questa gabbia, provoca in me brividi di follia. Non sa che qui c'è il diamante. Quel diamante che bramava da sempre, senza averlo mai trovato. Io ci sono riuscita, e non sono rimasta sorpresa dal fatto che fosse esattamente sotto il suo naso. Tolgo la pietra luccicante dalla teca, e la inserisco nella tasca; le iridi mi brillano. Ammetto di aver assunto un complice, mi ha fatto il favore di rendere inutilizzabile l'auto, così che non possa andarsene, ma debba vedere me mentre mi allontano, spinta da sensazioni che non riuscirei neanche a descrivere. Così calo il mio corpo con una corda fino a terra, e mi trovo faccia a faccia con il fastidioso demone che divora le mie forze da troppo tempo. Osservo per l'ultima volta il sorriso sghembo che mi rivolge, come fossi il suo gioiello preferito. Sorrido a mia volta, e con la coda dell'occhio noto la motocicletta dietro l'angolo, come avevo previsto. Il cuore batte come un tamburo.
Mi dirigo dietro l'auto, secondo lui con l'intento di salirci, mentre inserisco il casco e monto sul vero veicolo a cui voglio ricorrere. Metto in moto, il rumore che produce mi infonde energia. Parto. Parto e percepisco l'adrenalina scorrermi nelle vene. Riesco quasi a vedere la sua espressione confusa, tramutarsi poi in un grido spaventoso ed agghiacciante; ma sono troppo lontana. Adesso so cosa avrei risposto quando mia madre mi chiedeva cosa fosse la vita. Vita è libertà. Io sto vivendo.

SPAZIO AUTRICE
È un racconto creato da tre parole casuali, ho deciso di pubblicarlo senza revisionarlo in modo approfondito. Commentate e ditemi che ne pensate:)<3
-Emma

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