4) It's horror baby! pt.1

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Il sentiero. Dov'era il sentiero? "Non c'è più" pensai, in preda al panico. Continuai a correre a perdifiato, il cuore che martellava nel petto. Ripensai un attimo alla catena di eventi che mi avevano fatta arrivare qua.

Tutto era iniziato quando io e i miei genitori decidemmo di andare in vacanza nel Vermont, luogo bellissimo e particolare. Odiavo le gite con i miei, entrambi professori universitari, che iniziavano con una chiesa, continuavano con un museo e terminavano con un castello vecchio almeno trecent'anni. Per l'amor di Dio, tutto bellissimo, ma con loro! No, con loro no. Si fermavano a descrivere ogni singolo pezzo di pietra inciso, colorato o rovinato. In particolare adoravano gli edifici abbandonati, fossero essi mattatoi, manicomi o semplicissime case. Non si poteva dire fossero professori scadenti, ma come genitori non facevano un granché per essere benvoluti, anche se erano soliti farmi scherzi e sorprese di tutti i generi.

Fuori dal finestrino scorrevano selvagge le coste del New Hampshire ma nonostante il paesaggio fosse meraviglioso, non pensavo a quello. Stavo cercando di escogitare un metodo per sopravvivere ai prossimi giorni in compagnia della mia famiglia e di sfuggire al programma. Quest'ultimo prevedeva un lunghissimo viaggio in macchina con i miei, alla scoperta di architetture medievali. Un sogno ad occhi aperti, o almeno per loro. In quello stesso momento il mio migliore amico Kris stava mangiando un gelato da qualche parte nell'America del Sud e mia cugina Pat stava passando l'estate con quell'odioso Francis, suo fratellastro, visto che i loro genitori ormai si conoscevano da anni e ciascuna volta passavano due mesi in compagnia. Io non avrei potuto invitare nessuno, anche se avessi voluto, a causa dei miei: "Già ne abbiamo per nove mesi su dodici, poi anche in vacanza no, grazie" Ma chi avrebbe voluto passare anche solo un giorno così? Nessun normale ragazzino, ma nemmeno un adulto. Di tanto in tanto mio padre mi vedeva di sfuggita dallo specchietto retrovisore ben posizionato, con le cuffiette, intenta ad ascoltare musica. Proprio allora incrociavamo gli sguardi per un attimo e lui scuoteva la testa con disapprovazione, bisbigliando sul fatto che non avessi interessi. Io di interessi ne avevo, solo che non comprendevano abbazie del quindicesimo secolo né del secolo precedente.

Prima di partire, quando mamma e papà scrivevano varie liste, confrontavano prezzi di hotel e davano uno sguardo a varie possibilità, iniziai a proporre varie opportunità che avrei potuto sfruttare a mio favore. Sarei potuta andare dai nonni in Nicaragua, o dalla zia Marlene in California o persino dallo zio Steve, quel mangione che pensava solo a sé stesso. Tutto tranne andare con i miei. Le idee furono però bocciate in un nanosecondo, con un battito di ciglia. Mamma odiava Marlene perché ci aveva litigato e papà non sopportava proprio Steve perché... beh perché era lui. L'opzione meglio presentabile era andare dai nonni, ma il viaggio sarebbe costato troppo e poi stare una settimana a sguazzare nell'acqua e a fare salti da capogiro era fuori discussione.

"Hai intenzione di dormire in macchina?" La voce di mio padre mi risvegliò dai pensieri che mi affollavano la mente. "Non sai che paesaggi ti sei persa dormendo tutto questo tempo" Aggiunse la mamma ancora estasiata. "Veramente io..." "Oh, ma stai tranquilla perché al ritorno forse riusciremo a rivederli!" Che bello... Incrociai le dita e abbozzai un sorriso stanco sulle labbra. Alzando lo sguardo vidi l'insegna con il nome dell'hotel, illuminata da luci gialle. "Hotel du Malheur", ecco ciò che l'insegna recitava. Spostando un po'la direzione degli occhi, intravidi anche un'altra scritta, troppo piccola e ben nascosta per essere identificata. Spinta in avanti dai miei genitori e trascinando i piedi, arrivai all'entrata dell'hotel, se così si poteva definire. Sembrava un palazzo, all'interno. Perché all'esterno non era invitante neanche un po'. Pareti bianche riempivano gli interni e cornici rosa pastello le delimitavano. Righe dello stesso colore ricoprivano la parte bassa della stanza, dandogli un aspetto accogliente. Girandomi a sinistra c'erano delle scale in legno, protette dalla vista delle persone da una parete di cemento abbinata al resto della stanza; spostando lo sguardo un pochino più a destra c'era il bancone e, infondo alla stanza, la porta per accedere alla cucina. A destra invece c'erano solo finestre e davanti a noi qualche tavolino non apparecchiato. Una voce calda ci accolse: "Benvenuti all'Hotel du Malheur signori!" Tre sorrisi risposero a quella simpatica frase e la proprietaria ci tolse i bagagli di mano, portandoceli su. Dopo qualche minuto riuscimmo a mangiare e tutto era delizioso, soprattutto la carne che aveva un sapore di non so che, ma particolare.

Finito di mangiare salii le scale, mi feci la doccia, mi lavai i denti e rimasi per qualche minuto a fissare la mia immagine allo specchio, i miei occhi contornati da evidenti occhiaie, i lineamenti stravolti dallo stress. Evidentemente era così che ci si sentiva a condurre tutti i giorni la vita da assistente sociale... Mi sistemai nella mia camera singola e, appoggiando la testa sul cuscino riuscii a vedere il cielo cosparso di stelle. C'era, nonostante tutto, qualcosa che non andava. Mi sentivo osservata, così per non pensarci decisi di prendere il telefono e leggere qualcosa su Wattpad. Dopo vari tentativi trovai il giusto racconto horror, anche se un altro mi affascinava molto. "Frasi horror". Decisi di leggerle per poi sfruttarle con i miei amici. Mi feci una lunga nottata dell'orrore e alla fine tutte le espressioni erano state assimilate nella mia testa. Sorridendo lasciai penzolare il telefono collegato al cavo di ricarica e cercai di dormire. Qualcosa mi stava parlando, lo sentivo dentro la mia testa: "Scommetto che è bello pensare di essere soli in una stanza; non sapevo di nascondermi così bene" oppure "Tu non sei mai rimasta da sola; io ero sempre lì, tra le ombre della casa a osservarti". Pensai che fossero le frasi e per cancellarle momentaneamente cominciai a parlare nel pensiero: "Basta, sono solo frasi che ho sentito" Dopo qualche minuto di silenzio, quando ormai ero convinta di aver ragione, un altro messaggio arrivò dentro di me: "Se la pensi così allora smettila di rigirarti nel letto e dormi, che mi disturbi" Scioccata dal mio stesso pensiero decisi di rispondere ancora una volta. "Tu non sei me, non direi mai una cosa del genere a me stessa, quindi dimmi che sei" Altri minuti, stavolta più lunghi, separarono la domanda dalla risposta: "Io sono te ma tu non sei me, io so tutto di te ma tu di me non sai nulla; io ti osservo ma tu non mi hai mai visto, a meno che non guardi fuori da qualsiasi finestra a notte fonda" Silenzio "Anche se a volte hai fatto pure questo, ma non mi sei mai riuscita a vedere" Decisi che tutto ciò fosse dovuto allo stress e mi rigirai nel letto. Fuori dalla porta aperta, un'ombra si mosse veloce e si nascose dalla mia vista. Accesi la luce e decisi di andare a controllare nel corridoio. Quest'ultimo era completamente vuoto, eppure mi era sembrato di aver visto qualcosa. Ritornando in camera sentii di nuovo quella voce: "Ecco brava, adesso spegni la luce e mi raccomando, mai guardare sotto il letto" Ma figuriamoci, non potevo avere paura adesso dopo anni di storie horror. Controllai il pezzo di pavimento sotto il letto, abbassandomi lentamente. Il cuore mi batteva a mille e i brividi percorrevano la mia schiena. Abbassai di scatto la testa e un rumore mi colse alla sprovvista: un gatto bianco, con gli occhi gialli, stava entrando dalla finestra. Presa dal panico mi raggomitolai velocemente sotto le coperte. Il gatto si posò sul mio letto, con i suoi grandi occhi azzurri che mi fissavano. Azzurri? Non erano gialli? La prima cosa che pensai, appena scorto l'animale fu che aveva degli occhi giallo canarino... Boh, sarà stato il riflesso.

La mattina dopo scoprii che la proprietaria era in verità una mia parente di qualche grado, che aveva appena perso il figlio, mio amico dell'infanzia. Non me lo ricordavo ma sentivo che era vero. I miei genitori mi avevano fatto un'altra sorpresa: "Volevamo che la partenza assomigliasse a quel libro, come si chiama Frank aiutami!" "Non lo so cara..." Il dialogo tra i miei, appena svelatami la sorpresa era proprio questo.

Clark, ecco come si chiamava il figlio della signora. I miei lo dissero alla vecchia signora ma lei rise e agitò la mano: "Ma Cla' non è morto, è proprio lì dietro!" Ci girammo tutti ed effettivamente c'era qualcuno che ci osservava. Clark alzò la mano, pallida come il resto del corpo, e la agitò brevemente. I miei genitori si rigirarono e papà disse: "Scusi signora Nevel ma Clark si è buttato giù dal cornicione, proprio sei giorni fa, il 6 giugno 2006" Ci guardiamo tutti in faccia per qualche secondo e poi la signora dice: "Diglielo anche tu che Clark non è morto ragazzina" Mi indica e io spalanco un po' gli occhi. Perché ha parlato proprio con me? "Signora lasci perdere la ragazza; venga, andiamo in cucina" Mia madre parlò con un tono pieno di pena per la vecchietta, le prese per un braccio e la portò in cucina. Intanto la signora continuava a blaterare cose del tipo: "Clark morto! Che sciocchezza!" Mi rigirai indietro però il ragazzo non c'era più. Sparito nel nulla. Decisi che avrei scoperto di più nei giorni seguenti.

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