capitolo i: accordi bilaterali

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"Incinta."

"Questo è un disastro, zì," Manuel sussurrò, sedendosi sul pavimento accanto a Simone. Non sapeva nemmeno perché fosse esattamente lì, ma erano giorni che Simone era scontroso, silenzioso e non rispondeva nemmeno alle sue provocazioni per fare rissa. E quelle con Simone erano uno dei pochi motivi per cui a Manuel piaceva andare a scuola. "E che pensi de fa'? Ce torni insieme? Le dai soldi?"

"I soldi ce li ho," Simone rispose, mettendosi le mani nei capelli. Manuel provò un senso di pena che gli strinse qualcosa all'altezza del petto. Si rimproverò, perché da quando era così sentimentale. "I soldi ce li ho, ma con lei non ci voglio tornare."

"Ma perché no? Se è una bella ragazza, ce scopi, ce stai il meno possibile e amen."

Simone scosse la testa. Sembrava quasi infastidito dalle parole di Manuel e Manuel fece finta di non sentire quella sensazione di inadeguatezza che avvertiva ogni volta che passava del tempo con quel ragazzo. Per quanto lo insultasse o lo prendesse in giro, Simone era l'apoteosi del ragazzo perfetto, bello, studioso, ricco, gentile ed educato, tutto ciò che Manuel non sarebbe mai stato. Be', gentile ed educato finché non si mettevano le mani addosso.

"Io l'ho lasciata perché..." Simone iniziò a dire, poi lanciò uno sguardo ancora più infastidito a Manuel. "Ma perché lo dovrei dire a te? Che cazzo te ne frega. Ma poi sicuramente avresti un motivo in più per rompermi il cazzo."

Manuel ridacchiò, mettendosi una mano in faccia. "Ma che l'hai lasciata perché volevi fa' qualcosa de losco? Ma tu non lo faresti mai, sei il troppo perfetto Simone Balestra."

Simone abbassò lo sguardo ed era rossore quello che Manuel scorgeva sulle sue guance?

"A quanto pare non sono troppo perfetto. C'è qualcosa che non va in me."

"Ma che stai a dì?" Manuel esclamò, strattonandogli una spalla e costringendolo a guardarlo. "Ma se c'è qualcosa che non va in te io che dovrei dì?"

"Tu hai la ragazza, piaci a tutte, ti piacciono tutte."

"Va be', zì, anch'io c'ho dei gusti, non è che mi piacciono tutt... ah."

Manuel poteva sembrare una persona stupida, vuota e con la testa piena di stronzate. Solo sua madre sapeva che non era così, anche se l'aveva delusa troppe volte per poter convincerla che forse sarebbe bastato. Sua madre era convinta che avrebbe potuto iscriversi all'università, avere un buon lavoro e aiutare anche lei ad avere una vita migliore, ma Manuel era realista: lui era una testa di cazzo e doveva dimostrare a sua madre che non doveva riporre alcuna speranza in lui.

Come faceva Chicca, del resto.

A Chicca all'inizio era piaciuto il suo essere sfuggente, ma evidentemente non le bastava più. Manuel, però, non poteva prometterle nient'altro. Lui doveva pensare a sua madre e ad aiutarla e questo implicava la certezza che, a volte, avrebbe dovuto fare qualcosa che una brava persona non si abbasserebbe mai a fare.

Lui l'aveva vista sua madre, fin da bambino, piangere. Sua madre era una persona estremamente fragile, rotta già da giovane, per colpa della famiglia, per colpa di tutti quei maschi stronzi a cui, purtroppo, Manuel assomigliava troppo.

E quindi, Manuel aveva imparato a consolare sua madre alla tenera età di cinque anni, quando l'aveva trovata per la prima volta sola, sul loro divano pulcioso, a piangere disperata. Non poteva sapere perché, ma le aveva preparato una camomilla ed erano andati a dormire abbracciati.

(Ovviamente da grande aveva capito che un bambino di cinque anni non avrebbe dovuto avvicinarsi ai fornelli nemmeno per sbaglio, ma sua madre aveva bisogno di un uomo accanto a lei, non di un fardello.)

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