Diventare.

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Il tempo ha sempre avuto una doppia definizione per me, di solito molti lo vedono come un vecchio e burbero uomo che non ha pietà di nessuno e forse in parte è così, forse tutti coloro che si prostrano ad esso lo fanno per paura, o davvero per astio. Molti si sentono come se il loro corpo fosse una gabbia che inesorabilmente li porta alla fine, ma non io, io ero in pace con me stessa. Le mie mattinate, dopo il Natale passato, erano diventate liete, anche se una dolce malinconia costellava comunque le mie giornate. Era una malinconia che Severus conosceva bene, la malinconia dell'impotenza e della rassegnazione, la malinconia del dover guardare avanti per forza.
Ormai ero una professoressa affermata e la presenza di lui illuminava le mie giornate e riscaldava le mie notti.
Passavamo le fredde sere di febbraio abbracciati nel nostro letto, a fare l'amore e ad osservarci, quasi affamati di apprendere i cambiamenti l'una dell'altro. Così passarono due anni, due Natali e due mesi di Febbraio.

Poi con l'inizio della primavera qualcosa cambiò in me. Ero stanca, nonostante il lungo sonno, avevo la nausea, e infine il mio ventre iniziò a gonfiarsi.
Capii alla svelta che, come tantissime donne, portavo in grembo il frutto dell'amore con il mio fidato compagno. All'inizio non ne fui certa, ma quando il ciclo continuò a tardare, presi coraggio e decisi di dirglielo.
Gli diedi appuntamento nel suo ufficio, cui si poteva accedere solo dalla nostra stanza, lo aspettai per minuti lunghi ore, poi la porta si aprì.
-Perché qui? Non era forse meglio parlarne nella nostra stanza?
-No - mi affrettai a dire - questo posto è importante e ciò che sto per dirti è ancora più importante.

Il suo viso si fece grave, appesantito dalla preoccupazione che provava per me. Vidi la sua bocca diventare seria, le sue sopracciglia corrucciarsi leggermente, ero abituata a quelle lievi espressioni, che lui pensava di nascondere bene. Non poteva ingannarmi, non poteva ingannare me dopo tutti quei mesi passati insieme.
Era passato così poco tempo dal nostro primo incontro, eppure eravamo andati così avanti, eravamo diventati qualcosa di più che semplici colleghi, e forse qualcosa di più che semplici fidanzati.

-Siediti - dissi solennemente
Lo vidi farlo lentamente, i suoi occhi non si staccavano dai miei. Mi accomodai anche io, di fronte a lui, per un breve tempo in cui stetti in silenzio. Poi decisi di alzarmi, di pormi davanti a lui in piedi, col suo viso che centrava proprio il mio ventre, appena gonfio di un mese.
Presi la sua mano destra, la poggiai alla mia pancia, appena sotto l'ombelico e lo fissai.
Il suo viso era sorpreso, cercava di comprendere cosa stesse succedendo, così per aiutarlo poggiai la mano sulla sua. Restò lì per qualche minuto, poi i suoi occhi ebbero un piccolo sbalzo e si aprirono leggermente. Eccola, ecco il viso dell'intuizione.
-E' tuo - dissi sorridendo.
-Mio.. Mio figlio? - chiese, flebilmente e lentamente, per poi alzare gli occhi e guardarmi.
-O figlia... Insomma, chi può saperlo?

Si alzò.
Andò via.
Non me lo aspettavo, rimasi stupita e sorpresa, forse leggermente addolorata.
Non disse una parola, semplicemente si alzò e uscì dall'Ufficio, e non fece ritorno per ore.
Non ebbi la forza di uscire di lì, pensai che sarebbe tornato  e invece passarono ore.
Passai il tempo ad accarezzare la mia pancia, a pensare che forse non avrebbe voluto prendersi questa responsabilità, a riflettere sulla mia importanza per lui. Pensai di essere la sua fidanzata e forse nulla più di questo. Pensai che forse non potevo permettermi di diventare la madre di suo figlio, perché lui non voleva diventare il padre del mio.

Alla fine decisi di stendermi sul letto, quindi lentamente uscii dall'Ufficio, mi diressi verso il letto e mi sedetti, e alla fine mi stesi.

Immaginai castelli pieni di fiori e di correre su un prato pieno di papaveri, verso il tramonto, con le nuvole rosa e arancioni che  si stagliavano contro il cielo. Immaginai la felicità sul mio volto e le mani di un uomo che stringevano le mie. Poi un piccolo lago, trasparente e pieno di sassolini in cui immergere i piedi, immaginai la frescura dell'acqua e i piccoli pesci che, con le loro code, accarezzavano le mie dita e fuggivano spaventati.
Risi di me stessa, sentii di nuovo il dolore nel cuore e il buio si impadronì di me. Ero esausta e caddi in un sonno profondo.
Non so per quanto dormii, ma al mio risveglio lui era coricato di fronte a me e mi osservava come al solito.
Mi tirai su alla svelta, provocandomi un capogiro.
-Piano! Farai male a mio figlio... O figlia, non possiamo saperlo.
Lo guardai, aveva davvero detto "mio figlio?", mi ero preoccupata così tanto, pensavo mi avesse abbandonata, pensavo non lo avrei più rivisto.
-Non te lo concedo, sai benissimo che ti ho promesso che avrei avuto cura di te ora e sempre, Mary Byrne.

Mi aveva letta di nuovo, aveva mantenuto tutte le sue promesse tranne che questa, ma ero ugualmente felice che lui fosse lì con me. Il mio teatrale cervello aveva di nuovo fatto brutti scherzi.

Lo strinsi a me.
Forte.
Molto forte.
Lo strinsi come il giorno in cui lo baciai per la prima volta.
Sentii che il mio amore per lui era rinato ed era diventato più forte di prima.

-Dove sei stato?
-A Spinner's End.
-Che cos'è Spinner's End?
-Casa mia.
-E perché...
-Per prendere questo.
Tirò fuori una scatola rettangolare dalla tasca, larga quanto la mia mano.
-Che cos'è?
-Aprila.
-E' per me?
-Lo è.
La aprii.
Vi era una scatola ancora più piccola.
-E' uno scherzo?
-No. Apri anche quella.
Un biglietto. Lo lessi: "Cosa desideri di più a questo mondo?"
Pensai, profondamente e in modo serio.
Mi guardai intorno, guardai lui.
-La tranquillità.
-E cosa potrebbe renderti tranquilla adesso?
-Te.
-E come?
-Vorrei una famiglia felice con te.
Sorrise.
-La voglio anch'io. E voglio farlo per bene.
Tirò fuori un'altra scatolina dalla tasca.
Si inginocchiò a me.
Aprì la scatolina, ne uscì un anello rosso e brillante.
-Per la donna che amo ed amerò sempre, per colei che mi ha dato un'altra occasione, per colei che ha raggirato il freddo per me e mi ha scaldato il cuore. Mary Byrne, mi faresti l'onore di diventare mia moglie e la madre dei miei figli?

Ero senza fiato e senza parole. Mossi la mia mano contro la sua guancia sinistra, lo accarezzai dolcemente, poi spostai la mano verso le sue, facendogli segno di rialzarsi.
Adesso il suo viso era davvero incuriosito.
-Non devi inginocchiarti a nessuno, men che meno a tua moglie.
Tirò un sospiro di sollievo e mi strinse, e io strinsi lui. Adesso eravamo davvero una cosa sola.
Poco dopo allentai la presa, volevo guardarlo in volto.
-Severus...
-Sì?
-Come suona "Signora Mary Piton" alle tue orecchie?
Ci pensò per qualche secondo.
-Divinamente.
Mi baciò per lunghi minuti e non erano mai abbastanza.

Improvvisamente si staccò.
-Bisogna fare in fretta - disse con improvvisa veemenza.
-Perché?
-Vorresti forse sposarti con il pancione?
-Io... No. Ma possiamo aspettare dopo il parto, no?
-No, non voglio. Signora Mary Piton suona davvero bene, è ora di cambiare il tuo stato civile.

Risi.

Mi sentii già sposata e andava bene così.

Lo vidi correre fuori la stanza.
Lo seguii velocemente
-Dove scappi?
-Dalla Preside McGranitt!
-PERCHE'? - Gridai.
-HAI BISOGNO DI UN VESTITO E DI FIORI! - gridò lui, correndo via.
Ormai aveva svoltato l'angolo.

Mio Marito.
Sua Moglie.

Noi che diventiamo uniti in eterno.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 24, 2022 ⏰

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