Mores maiorum

266 17 30
                                    

"Che siamo, io e te che facciamo robba?" le domandi, in piedi alle sue spalle, una mano poggiata sul banco e nell'altra il bicchierino di caffè.

"Seh, te piacerebbe" ti sorride lei, alzando gli occhi dal disegno che sta colorando.
Intanto la campanella è suonata e Lombardi ha fatto il suo ingresso in classe, interrompendo il vostro gioco di sguardi, e staccando il sorriso di Chicca dal tuo.

"Buongiorno" dice mesto, e poggia la ventiquattr'ore sulla cattedra.
"Buongiorno" rispondiamo all'unisono. E ciascuno torna al suo posto e si sistema. Anche io, che distolgo lo sguardo da voi due e lascio il banco su cui ero seduto.
"Oh...Manuel" ti prende subito di mira. "Dopo che hai finito il tuo caffè... ma fai con comodo, naturalmente... direi che potresti raggiungermi qui, alla cattedra"
"Ma mi ha interrogato la settimana scorsa, ho preso 4, se lo ricorda?" provi a difenderti, dopo un istante di esitazione. Non c'è alcuna inflessione nella tua voce. Sei sempre così tranquillo, Manuel. Ti fai scivolare addosso tutto, anche le cose che agli altri farebbero una gran paura.

"Ma possiamo sempre aggiungere un bel tre, numero perfetto" replica lui, sottolineando il tre col suo accento veneto e muovendo in aria le mani. "Vieni, vieni alla cattedra...caro" ti fa cenno poi di avvicinarti. E tu obbedisci. Raggiungi la cattedra a passi sicuri e oscillanti.

"Guarda, ti faccio una domanda facile facile..." dice Lombardi mentre bevi l'ultimo sorso di caffè e getti il bicchiere nel cestino dell'immondizia. Intanto, appena fuori dalla porta, la bidella lava il pavimento del corridoio e lancia uno sguardo all'interno. "Parlami dei mores maiorum, le fondamentali virtù degli antichi romani" riprende il prof, posando la ventiquattr'ore per terra. "Quali erano, queste virtù?" ti domanda annoiato.

Ti metti le mani nelle tasche dei jeans.
Giulio prova a suggerirti qualcosa.

"Vabbè, erano... erano fede" inizi a elencare.

"Cioè fides" annuisce il prof.
"Sì, fides..." ripeti con aria di sufficienza, spostando lo sguardo sulle prime file nella speranza di captare qualche suggerimento.

"E..." mormori prendendo tempo.
Anche Aureliano prova a sussurrarti qualcosa.
Io ti lancio uno sguardo di consenso.

"Speranza e carità" ti affretti a concludere.

No, Manuel, no.

"Ma per favore... Quelle erano le virtù teologali" commenta contrariato Lombardi. "Guarda che non c'è un premio speciale per chi ripete più volte lo stesso anno eh" aggiunge.
Tu gli rispondi con un mezzo sorriso. E mi stringi il cuore.

E allora non ce la faccio, Manuel.

Prendo la parola in mezzo al silenzio generale e "Prof ma perché deve far così?" gli domando. La voce mi esce rauca e manifesta quanto involontariamente abbia pronunciato queste parole. Forse, se ci avessi pensato su, avrei fatto prevalere la mia parte razionale e sarei rimasto zitto. Ma è stato più forte di me. La perfidia di Lombardi mi ha fatto ribollire il sangue. Ho preso le tue difese.

Il tuo sguardo timido, alzato all'improvviso da terra su di me, mi rende chiaro che nessuno, tantomeno tu, si sarebbe aspettato una tale obiezione. Eppure non l'ho fatto per un momento di celebrità, Manuel. Io l'ho fatto per te. Perché non sopportavo più di vederti indifeso, collezionare una beffa dopo l'altra e rispondere con quel mezzo sorriso.

"Perché deve prenderlo in giro?" soffio.

E Lombardi mi guarda con un'espressione a metà tra il disinteressato e il divertito.
"Ma a te che ti importa, scusa?" ribatte.
Dovrei starmi zitto, lo so.

"Secondo me non è giusto" rispondo invece, prendendo posizione.

Ed eccolo di nuovo, Manuel, il tuo sguardo incollato su di me.

I tuoi occhi sgranati di ciglia lunghe, le tue labbra appena socchiuse.

Mi guardi, Manuel.

E d'un tratto torni bambino, nella tua camicia a quadri blu.

Dalla classe si solleva un parlottìo sempre più fitto, la protesta dei nostri compagni che finalmente alzano la testa. Che sia stato io a iniziare è solo un dettaglio.

Lombardi li seda subito dopo.
"Uh, guarda guarda, la rivolta degli schiavi..." commenta. Poi si rivolge a me: "Ma credi di essere Spartacus?"

Non gli rispondo.

Lo fisso e basta. Le mani intrecciate sul banco.
"Io ho semplicemente detto che Manuel è messo male, quest'anno... anzi molto male" asserisce, tornando a guardarti. Pensa di difendersi così, vecchio infame. Quindi decide di deporre le armi e non continuare a infierire, lasciando scivolare il discorso e interpellando Laura.
"Eh, guarda... Laura..." la indica. "Dimmele tu le cinque virtù degli antichi romani"
Tu abbassi lo sguardo e ti trascini via dalla cattedra senza dare troppo nell'occhio. E lui ti lascia fare senza opporre resistenza. Che stavolta abbia rinunciato anche a metterti il voto?
Laura si alza, mentre ondeggi verso di me. Una mano in tasca e l'altra pronta a darmi una pacca sulla spalla appena mi passi accanto.

Il cuore che fa una capriola.

"Sì, prof. Ehm, io me ne ricordo solo quattro..."
"Sentiamo"
"Ehm, fides... gravitas... ehm, majestas...e...ehm, pietas..."
"E poi? E poi?" la incita lui, sollevando il mento. E davanti al silenzio di Laura, e a quello di tutti gli altri, l'ultima la aggiunge lui. E la sottolinea più volte. "Virtus, virtus. Quella che voi non avete! Quindi domani vi beccate un bel compito in classe. Anzi, il compito in classe, il più importante del quadrimestre!" pigola, muovendo in aria le mani, soddisfatto e prevedibile come pochi.

E non dice niente neanche quando il silenzio si rompe, e ognuno protesta e dice la sua. Non lo zittisce, stavolta, il parlottìo. Se lo lascia scivolare addosso. Ed è la cosa che più mi fa incazzare di lui, questo non sentire ragioni.

Indelebile || Simone e ManuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora