Una vita diversa

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Un Professore 1x05

Anita


Ma che c'hai oggi, amore mio? Sembra che nel giro di poche ore tu ti sia fatto alba e tramonto come il sole. Quando t'ho incrociato stamattina eri leggero come una nuvola, camminavi a un metro da terra e sembravi pure più bello. Poi d'un tratto sei cambiato. Come quando in una giornata di sole si alza un vento improvviso e il cielo si riempie di nuvole. Ti sei incupito, amore, e non ne so il motivo. So così poco di te, ultimamente, che questo a volte mi spaventa. Mi spaventa non sapere cosa pensi, perché d'un tratto mi sembri così cresciuto, mi spaventano i soldi che girano in casa 'sto periodo, e mi spaventano le cazzate che mi dici. Anzi, forse sarebbe più corretto dire che mi spaventano tutte le cose che non mi dici. Quelle che mi tieni nascoste, forse per non farmi stare in ansia, o Dio sa perché.
Ma più di tutto, mi spaventa che l'adulto di 'sta casa ultimamente sembri te. Che vai a fà la spesa tu, mentre io sto qua a impazzire dietro a 'ste traduzioni, e a cosa c'è nel frigo manco ci penso. Che torni a casa carico di buste e fai ironia su cosa sia un supermercato come se io non ne avessi mai visto uno. "Conosci il posto? Un posto pieno di scaffali con un sacco di roba da magnà" m'hai detto poco fa mentre mettevi tutto a posto, per poi spiazzarmi con un "Ao! Manco un grazie?" come se quella parola non ti avessi insegnato a dirla io, appena hai iniziato a parlare.
E mi spaventa che ti devi prendere da solo cura di te stesso, e anche di me. Che sei diventato un uomo, amore mio, e parli di filosofia e hai gli occhi che ridono, anche quando sei preoccupato.


Ma che c'hai oggi, amore, che sei entrato in casa e ti sei fatto a malapena vedere pe' famme capì che eri arrivato? Riempire il frigo era solo una scusa per sfuggirmi? O sei così felice che questi pensieri neanche ti sfiorano?

Appari sulla porta del salotto citando un filosofo del primo secolo dopo Cristo, e hai sul viso quell'espressione sfacciata, la testa inclinata da un lato e gli occhi come due fessure, di chi ne sa una in più del diavolo.
Poi ti butti sul divano di fronte a me, ancora con le scarpe, e, con una mano a sorreggerti la testa, mi guardi negli occhi e cambi espressione.
"Senti ma- tu hai mai pensato di abbandonare... i posti in cui lavori... le traduzioni...?" mi chiedi serio. Poi sospiri e... "Me?" aggiungi abbassando lo sguardo per un attimo.
"Abbandonare te in che senso, scusa?"
"Beh nel senso che potresti pensà più... alla vita tua" mi dici.
E le tue parole sono intervallate da sospiri.
Come se neanche tu avessi il coraggio di dire quello che stai per dire, Manuel. E non sai quanto questa cosa mi spaventa.
"Mh, ma la vita mia è questa" ti sorrido, intimorita e un po' sorpresa.
Ma che stai a dì, Manuel?
Tu.
Tu sei la vita mia
.
Come potrei desiderarne una diversa? Una senza di te?

"Sì... vabbè..." blateri. "Ma che... che cosa faresti se io non ci fossi?"
Ed eccola qui.
La cosa che non avevi il coraggio di dire.
Viene fuori, finalmente. E fa paura.

"Ma che te ne vuoi andare?" ti domando dopo un attimo di silenzio. Un lungo, lunghissimo attimo in cui non ho fatto altro che formulare una spiegazione da darmi, alla tua domanda assurda, e a quello sguardo che hai, che mi spaventa e che vorrei abbracciare.

Tu non rispondi, alzi il mento e guardi fuori. I rumori che vengono dalla finestra aperta riempiono la stanza e la tua assenza di risposte.
"Se succedesse?"
Improvvisa, Anita.
Riprendi aria e improvvisa.
"Mh... Ci sarebbero dei vantaggi! Che ti credi? Non te dovrei più pulì le mutande... calzini zozzi... c'è una puzza di piedi, qua dentro, costante..."
Mi fermo, ti guardo, e cambio tono.
"Poi magari mi trovo uno ricco... me lo sposo..."
"Ah perché, gli uomini ricchi non scelgono il pacchetto - muovi la mano a mimare la cazzata che stai per dire, e che sicuramente mi farà ridere - bella gnocca, figlio munita?"
No.
Abbasso lo sguardo divertita, e scuoto la testa.
Tu invece non ridi più, amore.
"Lo vedi?" mi dici, lo sguardo triste. "Vivresti meglio, mà"
Appoggio le mani sullo schienale della sedia, e mi sporgo verso di te.
"Ma che so' sti discorsi?" ti dico. "Ma io t'ho mai fatto pesare il fatto che c'eri?"
"No!" ti affretti a rispondere tu, e hai di nuovo gli occhi intelligenti di prima, quelli di quando sei entrato. "Però mà, io so' uscito per caso" aggiungi. "Almeno una volta, nella vita... te sarai pentita d'avermi fatto, no?"

E per un attimo mi passa davanti agli occhi l'immagine di te bambino, fuori da un ospedale una mattina di aprile, che mi tieni per mano e mi guardi con gli stessi occhi di adesso. Non sei mai stato un bambino di tante parole, fino a sei anni bisognava tirartele fuori con le pinze. Poi sei andato a scuola, e hai imparato a farti valere. Ma soprattutto, hai capito che le cose che ti tenevi dentro le aveva già provate qualcun altro prima di te. Hai iniziato a imparare le poesie a memoria e da allora non ti ha fermato più nessuno. In quinta elementare avresti potuto tenere un comizio. Quanti anni sono passati da allora, Manuel? Eppure non ho mai smesso di avere paura per te come quella mattina. E quando hai smesso di camminare tenendomi per mano perché ti vergognavi, ho capito che è vero quello che ho letto una volta in una poesia di Kahil Gibran: che i figli non sono figli nostri, e sebbene stiano con noi non ci appartengono.

"Ma le pensi davvero queste cose?" ti domando.
E tu non mi rispondi subito.
Abbassi lo sguardo tentennando, e stringi le labbra.
"Sì" concludi quindi alzandoti. "E penso pure che non me lo confesseresti mai" aggiungi, venendo a posarmi una carezza sulla nuca e un bacio sui capelli.
"No ma come ti sbagli guarda..." mormoro, incapace di formulare un pensiero di senso compiuto, e tu sei già alle mie spalle, sulla porta di camera tua. "Io non mi sono mai pentita di averti avuto!" ribatto, dondolandomi sulla sedia per guardarti meglio. "Sei stato la cosa più bella che m'è capitata nella vita"
Accenni un sorriso, mentre cerchi qualcosa sulla scrivania.
E io spero con tutta me stessa che tu abbia capito.
Ma è un attimo, poi ti squilla il cellulare e lo cerchi nella tasca per controllare chi ti ha scritto.
Un attimo dopo lo rimetti dentro, ed esclami sbrigativo "Io vado!"
"Dove vai? Sei appena tornato. Dove vai, scusa?"
"Eh... sì, devo annà... a fà i compiti e a studià da Simone" mormori infilandoti di nuovo il giubbotto e sistemandoti il cappuccio della felpa. E la tua voce è così dolce, mentre nomini Simone, che mi riesce difficile pensare che me stai a dì l'ennesima cazzata.
"A studià da Simone?
Così, all'improvviso?"
"Sì..." dici poco convinto.
"Manuel dai, stavamo parlando, Manuel!"
Sulla porta della stanza apri le braccia e mi guardi.
"Sì mà, stavamo parlando ma tra poco se piagneva, era troppo sentimentale come cosa, non..."
Poi scompari dietro la porta.

Ti sento mandare un vocale, probabilmente a Simone, e un attimo dopo mi gridi un "Ciao!" che sa d'abitudine, mentre ti chiudi la porta di casa alle spalle.

Ma quand'è che sei cresciuto così tanto, figlio mio?
Quand'è che hai smesso di dirmi le cose?
E Simone?
Simone ti sta salvando, o lo stai solo portando a fondo con te?

Indelebile || Simone e ManuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora