Undici mesi,
e ventidue giorni dopo«Simò? Simò, dove sei?».
La voce di Manuel rimbomba nell'ingresso dell'appartamento, richiamando il compagno. Tiene in mano due borse della spesa piene di cibo surgelato – però prima ha verificato che nel frigo ci stia tutto, giusto per sicurezza.
«Simò?» esclama ancora, ma non ottiene nulla. Alza gli occhi al cielo e sbuffa. «Guarda che non te la scampi pe' aiutarme a mette a posto la roba, eh!» si lamenta, entrando in cucina e posando le buste sul tavolo. Si guarda attorno, ma nota che, effettivamente, c'è troppo silenzio in quella casa – eppure non ricorda qualche impegno di Simone durante quella giornata – li sa a memoria, di solito, come gli appuntamenti dalla dottoressa Miglio o i turni presso il negozio di articoli di pittura dove ha iniziato a lavorare negli ultimi tre mesi.
Però no, sa per certo che quel giorno dovrebbe essere a casa.
Manuel aggrotta le sopracciglia, posando le mani sui fianchi. Si guarda intorno, perplesso e «Simò?» tenta di nuovo.
E niente.
Perciò si sposta, cammina lentamente fuori dalla cucina, per raggiungere la camera da letto, dove accende la luce, premendo sull'interruttore. Anche lì non c'è nessuno, tuttavia qualcosa la nota – sarebbe impossibile non farlo: sullo specchio posto nell'angolo della stanza, quello con la cornice bianca, è presente una scritta di pittura rossa.
Sulle labbra di Manuel appare un lieve sorriso leggendo "Vieni a vedere le stelle?".
È tutto scemo, pensa – ma il sorriso non lo ha levato. Lancia un'occhiata fuori dalla finestra: il sole è già tramontato, la luce di esso è pressoché sparita e i lampioni per strada hanno cominciato a venir accesi.
Esita per un istante prima di abbandonare l'appartamento, chiudendosi la porta alle spalle – e lascia perdere i surgelati, di sicuro si maledirà dopo, è un dato di fatto.
Sale i gradini delle scale in maniera estremamente lenta, sebbene il cuore gli stia martellando nel petto; non sa se sia normale quello, che il cuore gli batta forte quando sta per vedere Simone, ancora, dopo tutto quel tempo. Crede che forse ogni giorno sia come il primo, forse addirittura migliore.
Che quel batticuore sia la cosa migliore che gli sia mai capitata.
Quando apre la porta che dà lo sbocco sul tetto, prende un respiro profondo, quasi si preparasse ad andare in apnea. E un briciolo è pure così, considerando ciò che vede: su quel grande terrazzo, da lato a lato, da angolo ad angolo, sono stati posizionati fili bianchi che risultano sospesi in aria; reggono lanterne accese colorate di lilla e blu.
Poco distante, più vicino al parapetto di muratura, Simone è in piedi: Manuel lo vede di spalle, fermo a scrutare l'orizzonte. Non proferisce parola, non gli serve, dal momento che l'altro ragazzo si accorge subito della sua presenza e si volta nella sua direzione, sorridendo.
Simone ha indosso una camicia bianca, una giacca nera e dei pantaloni sartoriali con una piega a metà gamba dello stesso colore. Le cicatrici sul suo viso si sono notevolmente schiarite col tempo, ma sono visibili con dei leggeri aloni bianchi. «Ciao» dice, a bassa voce.
Manuel si sente un po' fuori luogo, considerando il proprio abbigliamento che comprende un jeans strappato e una camicia a scacchi nera e rossa. Presume non abbia troppa rilevanza, per cui smette di badarci in maniera eccessiva nel giro di pochi secondi. Piuttosto, muove qualche passo lento e distratto verso l'altro ragazzo, facendo diminuire gradualmente la distanza che li separa.
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Spaces
Fanfiction«Se tipo domani ti dimenticassi tutto, no? A me basterebbe uno sguardo e tu saresti perso». Si muove e con non poca fatica, rischiando di far cadere il computer da quel rialzo improvvisato, si posiziona sopra al corpo del compagno, con le ginocchia...