Echi

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[Tw: Slight s3lfharm]


Ho quasi beccato tu' padre de là.

Beh, tanto ti vede sempre qua. Si preoccupa il giorno che non ti vede.

Sì, lo so. E nun me dà fastidio, anzi, però potremmo pure prende qualcosa de nostro.

Che intendi?

Beh, tra poco te ne devi annà a Milano. Pensavo de venì co' te.


Simone si sveglia di soprassalto, ritrovandosi seduto sul letto, tra il piumone pesante e le lenzuola azzurre sgualcite.

Non che abbia effettivamente dormito, dato che ha preso sonno per sfinimento, col proprio corpo che si è arreso alla stanchezza, non per altro. Non dorme in maniera decente da almeno una settimana.

Sa che potrebbe aiutarsi con i tranquillanti che gli hanno prescritto in ospedale, ma non vuole perché sono gli stessi che gli fanno perdere il controllo sui pensieri che ha.

Quei pensieri che cominciano a viaggiare a briglia sciolta nella propria testa, in maniera violenta e incalzante.

E non può permetterselo.

Perché è già difficile così: stare attento ad ogni cosa che fa e che dice.

Sta diventando estenuante poiché spesso se ne rende conto troppo tardi, come quando mette lo zucchero nel caffè o fa riferimenti a film sui supereroi che non ha mai visto - non dopo, perlomeno.

Sta diventando logorante combattere contro di lui, in un corpo dove pare un ospite.

Simone ha il cuore che gli batte forte nel petto e la fronte imperlata di sudore. Ha il fiatone, quasi avesse appena corso una maratona. Le mani gli tremano.

È buio nella stanza, l'unica fonte luminosa è quella proveniente dai lampioni fuori dalla finestra, per strada.

«Simò?».

Manco se ne è accorto che Manuel si è svegliato, probabilmente a causa del lieve sussulto che ha causato al materasso. Simone deglutisce a fatica. Gli basta voltare di qualche centimetro il capo per scorgere il viso dell'altro ragazzo, che gli siede accanto e gli ha appoggiato una mano sulla spalla – così, solo per avere una sorta di contatto che riesce a calmare entrambi.

«Scusa» biascica «Non volevo svegliarti».

«Non fa niente» lo rassicura Manuel. Lo guarda, rivolgendogli un sorriso docile. «Hai avuto un incubo?».

A Simone viene da ridere in modo isterico, seppur riesca a trattenersi. Vorrebbe dirgli che non è davvero un incubo, che è la realtà stessa che lo atterrisce; la realtà che fatica a riconoscere.

Tuttavia «Sì, un incubo» taglia corto.

Manuel pare crederci - perché è una di quelle scuse che il compagno ha usato tutte le notti. Si sporge di poco in avanti, per depositare un bacio fugace sulla sua tempia. «Posso fare qualcosa?» sussurra, mentre passa le dita tra i suoi capelli.

Simone si lascia andare ad un sospiro sommesso. Vorrebbe ci fosse qualcosa che l'altro potesse fare - che chiunque potesse fare. Il problema è che una sorta di guerra si sta svolgendo nella propria testa e nessuno può davvero quietarla.

Socchiude per un momento le palpebre, beandosi del tocco delicato dell'altro ragazzo tra i propri ricci. «Mi abbracci?» pigola.

Manuel non ha ancora levato il sorriso quando si scosta, scivola indietro sul materasso per concedergli spazio e torna a sdraiarsi. Simone segue i suoi movimenti al pari di una calamita col suo magnete: appoggia il capo sul suo petto, si lascia stringere e accarezzare, frattanto che il compagno tira su il piumone per coprire entrambi.


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