3. L'indagine parallela

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Deianira era davanti al portone del grande palazzo grigio topo. Era un quartiere con palazzi tutti uguali, si distinguevano solo dal numero civico. Guardò le due file da dieci campanelli e le scorse col dito, fino all'ultimo. Era sempre l'ultimo, si disse. "Lenko Andrzei" recitava il cartellino in caratteri neri stampati. Premette il tasto grigio e attese.

Quel signor Lenko forse sapeva qualcosa sulla morte di Clarence, era il suo caso che seguiva quando era morto e lei non credeva nelle coincidenze.

Dopo un minuto suonò di nuovo, ma non ottenne risposta. Sbuffò. Non sarebbe stata una porta a tenerla fuori. In quel momento una signora aprì il portone e la guardò.

«Se sta cercando in signor Lenko, non lo vedo da molto. Dubito che tornerà.»

Deianira le sorrise.

«Si è trasferito?»

La donna era bassa e leggermente in carne, con bellissimi occhi nocciola, che ispiravano fiducia.

«Non lo so. So che aveva paura e si barricava in casa. Sentivo chiudere almeno quattro serrature quando entrava, ma... Come ho detto è molto che non lo vedo.»

La detective sospirò e le tese il suo tesserino di investigatore paranormale.

«Per me è importante trovarlo, potrebbe farmi entrare e dirmi qual è la porta del suo appartamento, per favore?»

La donna lo prese e lo studiò un momento prima di restituirglielo.

«Va bene.» disse infine.

Spalancò la porta e le fece strada fino all'ascensore.

«Quarto piano, ultima porta a destra. Non credo che le sarà d'aiuto, ma mi ha mostrato le sue credenziali, quindi...» le disse la donna.

«La ringrazio molto.» ribatté Deianira salendo sull'ascensore color kaki.

Il trabiccolo le metteva ansia e, quando le porte automatiche si furono chiuse, partì con uno scatto che la fece sussultare.

Arrivata al quarto piano uscì con un balzo e si ripromise di scendere dalle scale.

Percorse il corridoio spoglio e triste fino all'ultima porta. Sul campanello non c'era il nome, ma era di certo quello l'appartamento. Pose il dito sul pulsante del campanello.

«Ahi!» esclamò scattando indietro. Aveva preso la scossa. Maledisse quel palazzo che cadeva a pezzi e, con un pugno, diede tre colpi decisi alla porta.

Nessun rumore dall'interno.

Quella situazione era ridicola. Un brivido le risalì la schiena, rizzandole i capelli della nuca. No, qualcosa non andava. Toccò la porta coi palmi e respirò profondamente. Teneva gli occhi chiusi. Lasciò che la mente si sgomberasse e fece un altro respiro profondo. Nella sua mente prese forma un ingresso arredato con mobilio scompagnato e decisamente orribile. Una mano spuntava dalla porta di un'altra stanza, lungo il pavimento.

Deianira staccò le mani dalla porta e prese il telefono. Scorse la rubrica e arrivò a Brume Rose.

Doveva chiamare il numero d'emergenza, ma le avrebbero impedito di analizzare la situazione, l'avrebbero allontanata, facendo sparire prove, secondo quegli incompetenti, irrilevanti.

«Rose, ho trovato un cadavere.»

La detective Brume si palesò, da sola, dopo una ventina di minuti.

«Ciao Nira. Sei entrata?» le chiese con aria di rimprovero.

«Certo che no.» rispose Deianira indignata «Lo faccio adesso in tua presenza. Mi hai fatto promettere di non fare niente di stupido in tua assenza. Ora sei arrivata e posso fare tutte le cose stupide che voglio.»

Askylum - Il faro delle stregheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora