CAPITOLO 14.

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Aurora

Mi strinsi la tracolla della borsa al petto e attraversai la strada con una piccola corsetta. L'aria condizionata accesa del supermercato mi fece venire quasi i brividi per lo sbalzo terminco rispetto a fuori. Scrollai le spalle e m'inoltrai fra gli scaffali.

Due giorni prima, subito dopo essere stati dal dottore per la conferma della mia gravidanza, Silvia e Geto mi avevano trascinata al primo bar che ci era capitato davanti per festeggiare.

Una volta tanto, nessuno dei due aveva avuto da ridire quando mi ero rifiutata di bere alcol.

Dopo una serata piena di battutine sulla possibile reazione che avrebbe avuto Nanami alla notizia, Silvia aveva avuto l'idea della cena.

«Tra meno di due giorni i ragazzi torneranno. Con la scusa di celebrare la buona riuscita della loro missione ci riuniremo tutti a casa mia e di Toji la sera stessa, così tu potrai approfittare del momento per dire a Nanami che sei incinta!»

Queste erano state le sue parole.

Avevo passato quel giorno e mezzo praticamente insonne, a tratti troppo felice anche solo per rimanere ferma e a momenti troppo in ansia per alzarmi dal divano del salotto. Il tempo era passato con una lentezza snervante, ma finalmente di lì a meno di tre ore Nanami, Gojo e Toji sarebbero rientrati.

Camminando fra gli scaffali inizia a buttare nel carrello gli ingredienti che mi servivano: nonostante le mie scarse doti culinarie, avevo deciso di fare una torta da porta a casa di Silvia quella sera.

Senza soffermarmi più di tanto andai spedita alla cassa, pagai tutto e uscii nell'aria calda del pomeriggio con la borsa di plastica che mi tagliava le dita.

Mentre giravo l'angolo che mi avrebbe portata al parcheggio nel quale avevo lasciato l'auto, venni calamitata dalla vetrina di un negozio. Così mi avvicinai senza riuscire a reprimere un sorriso.

Scarpine minuscole, bavaglini e body dalle più strane fantasie facevano bella mostra di sé sulle mensole di legno. Rimasi un attimo immobile fuori dalla porta.

Meno di 9 mesi e avrei avuto bisogno di tutte quelle cose. Immaginai Nanami mentre metteva il bavaglio a nostro figlio e mi scappò una risatina.

Poi adocchiai una piccola scatolina, aperta a mostrarne il contenuto, e senza potermi trattenere entrai nel negozio.







Tornando a casa spalancai entrambi i finestrini per non rischiare di morire soffocata.

Trasportai le buste dentro casa e richiusi la porta con un calcio, soffiandomi via da davanti agli occhi un ciuffo di capelli.

Lasciai cadere tutto ai piedi del divano e salii in camera per cambiarmi. Indossai un paio di leggings grigio scuro e una corta maglietta lilla; tornando in sala afferrai al volo una matita dal tavolino davanti alle scale e mi appuntai i capelli in una crocchia scomposta sulla testa.

In cucina tirai fuori tutto quello che avevo comprato e mi misi subito all'opera, lasciandomi scappare una risatina pensando alla faccia che avrebbe fatto Nanami se mi avesse anche solo sognato così vicina al forno.

Il profumo di pastafrolla e cioccolato iniziò a diffondersi per tutta la casa, facendomi venire l'acquolina in bocca.

Chiusi il forno acceso con il fianco e leccai via il cioccolato fuso che era rimasto sul cucchiaio che avevo usato per guarnire la torta. Poi aprii l'acqua e lavai tutto.

Impostai il timer di lì a 45 minuti e, soddisfatta del mio lavoro, mi spostai nel soggiorno, dove mi lasciai cadere sul divano.

Il quadro fatto molto tempo prima da Nanami mi osservò appeso sopra il camino. Guardai le sue braccia che mi stringevano e desiderai ardentemente che potesse stringermi come in quel dipinto in quel preciso momento.

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