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Firenze di notte era bellissima, sopratutto in questo periodo, addobbata per le festività natalizie.

«Grazie, ne avevo bisogno» Benedetta fermò la macchina davanti all'entrata dell'hotel.
«Ne avevo bisogno anche io» le sorrisi.
«Ci vediamo domani amore» ci salutammo e entrai nella hall dell'hotel.

«Buonasera signorina» mi accolse la receptionist.
«Buonasera, stanza 110» le sorrisi.
«La tessera la ha il suo fidanzato, la sta aspettando sui divanetti lì in fondo» indicò verso il fondo della sala.
Confusa mi girai e sorrisi quando poco distante da me vidi Dusan.

Il mio fidanzato.

Lo era ancora?

Mi tremavano le gambe mentre lo raggiungevo, ero stata troppo tempo senza vederlo.

Mi era mancato così tanto.

Mi era mancato guardare da vicino i lineamenti del suo viso – la cicatrice che aveva sul sopracciglio sinistro, le sue mani grandi che riuscivano ad essere delicate su di me.

Tutto.

«Ciao» mi avvicinai e lo salutai.
Girò la testa nella mia direzione «Divertita?» si alzò, sembrava sereno, aveva un sorrisetto divertito sulle labbra.

Lo squadrai.

Sotto al cappotto che indossava potevo intravedere un maglione grigio a collo alto e un paio di pantaloni gessati che rivelavano le sue cosce muscolose.

Buttai fuori un lento respiro.

«Sono andata a mangiare una pizza con Benedetta» spiegai guardandolo negli occhi.
«Tranquilla ho visto la foto che hai pubblicato»
«Aspetti da tanto?»
«No» scosse la testa «Ho dovuto far vedere alla receptionist le nostre foto insieme per prendere la tessera» sorrise.
«A volte non basta essere un calciatore» lo presi in giro.

Rise di nuovo e con un cenno della testa mi indicò l'ascensore che portava al piano della mia camera.

Quando raggiungemmo la mia camera, capii che per tutto il tragitto non avevamo spiccicato parola e i nostri sguardi non si erano incontrati nemmeno una volta.

C'era imbarazzo.

Aprì la porta con la tessera «Non pensavo che saresti venuta fin qui» dichiarò con un sospiro. Senza dire una parola, entrai nella stanza, posai le mie cose e restai in piedi, in attesa.
Dusan chiuse la porta e si fermò di fronte a me.
«Mi dispiace D» dissi. «Ho sbagliato» sollevai il mento nella sua direzione.
«Per cosa sei dispiaciuta?» sbatté le palpebre.
«Per tutto. Mason per me non conta niente» lo osservai con attenzione. Le parole, a quanto pareva, erano lì, ma facevano fatica ad uscire.
«Non voglio sentire le tue scuse» Dusan distolse lo sguardo. «Ho sbagliato anche io, voglio parlare di me e di te»
«Ho bisogno di sapere una cosa» cercai i suoi occhi.
«Ti dirò qualsiasi cosa tu voglia» rispose con fervore. Quel fervore mi fece salire le lacrime agli occhi.
Mi ci volle qualche secondo per pronunciare la domanda che avevo in testa. «Capisci come siamo arrivati a questo?» la sua espressione divenne per metà confusa e per metà scioccata. «Dimmelo tu» le mie mani presero a tremare leggermente, perciò le congiunsi di fronte a me.
«Non possiamo stare così lontani» dissi «È impossibile stare sempre insieme» rispose, un tono piatto.
«E lo capisco» mi umettai le labbra. «Ma... lo vedi quanto è difficile? Litighiamo sempre, vengono fraintese la maggior parte delle cose e sinceramente non so cosa fare»
«La cosa da fare è parlare» corrugai la fronte mentre lo osservavo «Ti ho chiamato più volte ma non mi hai mai risposto» teneva la mascella serrata, la bocca stretta in una linea dura, le spalle tese «Tu mi chiami sempre dopo, quando capisci di aver fatto qualcosa di sbagliato» .
Eravamo entrambi  in difficoltà, questo era palese.
Non sapevamo bene cosa dire, e forse quella che era più in difficoltà ero io.
Ma quello che sapevo per certo era che avevamo fatto un ottimo lavoro nel perderci.
Dusan deglutì. «Devi riuscire a parlarmi di qualsiasi cosa» annuii «Se mi avessi detto che saresti andata a quella partita non te lo avrei proibito» disse a bassa voce «Non mi piace il modo in cui l'ho scoperto» fece una pausa, scuotendo la testa «Non sei andata ad una semplice partita».
Scelsi le parole da usare con attenzione «Non ho pensato in quel momento» la sua mascella si serrò «Non pensavo di ferirti» lo guardai «Non vorrei mai farti del male»
«Lo hai fatto» disse con voce roca. Lo sguardo nei suoi occhi era pieno di cose non dette. E forse il mio sguardo conteneva lo stesso «Lo so. Ma se penso che di averti perso per una cosa del genere impazzisco».
Sbuffò una risata priva di umorismo «Non mi hai perso, non ci siamo persi».
Tirai un sospiro di sollievo «Mi puoi parlare di Sara?» Dusan si passò la lingua sui denti prima di rispondermi, ma alla fine annuì.
«È la cugina di un mio amico, ci siamo frequentati appena mi sono lasciato con la mia ex»
«A maggio»
«Quando ci siamo conosciuti già non ci sentivamo più, non è stata importante» si allontanò, andando a sedersi sulla scrivania.
«È stata una distrazione da molte cose in quel periodo, niente di più» si fermò per guardarmi «Quando mi ha scritto non le ho risposto»«Voglio stare con te dalla prima volta che ti ho vista, non ti tradirei mai» «So che le parole sono aria, voglio dimostrartelo con il tempo, con i fatti, che tu per me sei tutto»
Pronunciai solo due parole, vedevo la sincerità nei suoi occhi.
«Ti credo»
«Ti vorrei dire di no» mi guardò un po' più a lungo «Ma ti credo anch'io» si staccò dalla scrivania, dove si era appoggiato, lo osservai con uno sguardo d'apprezzamento appoggiata al bordo del letto dove mi ero messa poco prima.

Non avrei saputo dire se fosse per colpa di ciò che era successo in passato con la mia famiglia o se in fin dei conti fossi possessiva con la persona giusta ma non volevo che si allontanasse da me.
Per nessuna ragione al mondo.
Alzandomi allungai una mano verso di lui, aspettai che la prendesse tra la sua.
Poi dissi tutto ciò che ero disposta ad ammettere: «Ti amo» la sua mano ampia mi scostò dalla faccia quei capelli che erano sfuggiti dalla coda, un gesto delicatissimo, le lunghe dita si intrecciarono a qualche ciocca legata.
Piano piano, si chinò verso di me, premette la fronte sulla mia e io potei solo chiudere gli occhi, assorbire il calore del suo corpo e la dolcezza del suo gesto. Non riuscivo a respirare. Né a muovermi. Non riuscivo a fare altro che starmene lì e vivere quell'istante.
«Ti amo tanto» dissi, per fargli sapere che non era una cosa da nulla.
Espirò, alitandomi sul mento.
Dalla sua bocca non uscì nemmeno una parola, però mi posò le labbra sul mento, poi nella fossetta sotto le labbra.
Aveva il respiro caldo, la bocca umida scivolò un pochino più su.
La distanza era diventata minima.
Mi avvicinai ancora un po' e gli mordicchiai il labbro.
Poi inclinò la bocca di lato e sigillò le nostre labbra.

Ossigeno.

Mi baciava come se non volesse più fermarsi.
Mi teneva per la coda con una mano, un po' più forte, come se avessi potuto andarmene da qualche parte.

Lo amavo perché sapevo che aspetto aveva quando si svegliava la mattina. Sapevo come sorrideva quando un tifoso lo avvicinava. Sapevo come baciava.
Sapevo come mi faceva sentire, quanto era premuroso.
Sapevo quanto era stato facile innamorarsi di lui.

Lo amavo davvero.
Così tanto che avrei fatto qualsiasi cosa per lui.
Preferivo dirglielo che passare il resto dei miei giorni a chiedermi cosa sarebbe successo se gli avessi confessato i miei sentimenti. Se gli avessi detto che era la prima persona in cui riponessi totale fiducia.

Ci staccammo.

«Non posso cambiare ciò che sento. Giuro che ho provato a smetterla. Ma non ci riesco» confessai.
«So che è presto» avevo il cuore a mille «... in realtà sono parecchi mesi» iniziò a tremarmi la voce «Scusa».
«Vorrei risponderti» finalmente parlò, interrompendo il flusso sconnesso delle mie parole.
Chiusi la bocca e guardai accigliata quella faccia con un accenno di sorriso china su di me.
«Hai sentito cosa ti ho detto prima?Sei tutto per me.
Mi sei mancata. Mi sei mancata non puoi nemmeno immaginare quanto» mi strinse le mani.
«Davvero?»
«Non sono stato abbastanza esplicito?»
«Non lo so», balbettai. «Mi ami?» Aveva uno sguardo così intenso che non riuscii a sostenerlo.
«Dimmelo tu. Penso sempre a te. Mi preoccupo di continuo per te. Ogni cosa bella che vedo mi ricorda te. Ho fatto i salti mortali per stare insieme a te.» la sua voce non tremò mai «Dimmi tu cosa provo» iniziai letteralmente a singhiozzare, mi cinse subito con un braccio e mi strinse a sé.
Mi passò le dita sotto gli occhi per  asciugare le lacrime, poi mi alzò il mento e mi baciò.
Lasciai che mi accarezzasse, mi stringesse e mi baciasse solo come lui sapeva fare.
Mi prese in braccio, eravamo petto contro petto, le sue braccia attorno a me, le mie mani nei suoi capelli, ci baciavamo e basta. Baci e baci e baci fino a perdere il respiro.

Mi sentivo così al sicuro.

Rise, staccando la bocca dalla mia «Волим те лудо»

Mi amava anche lui, e io ero pronta a vivere questo amore insieme a lui.

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