𝐉𝐮𝐧𝐠𝐤𝐨𝐨𝐤

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𝐏𝐑𝐎𝐋𝐎𝐆𝐎
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Il suono soffice della neve calpestata gli cullava le orecchie in modo impercettibile, concedendogli di bearsi in una quiete accogliente. Il cielo era terso sopra la sua testa, così bianco e accecante da essere quasi fastidioso.

Jungkook avanzava, passo dopo passo, muovendo le gambe come se non gli importasse di nulla al mondo.

Se all'apparenza stava vagando senza una meta precisa, in cuor suo sapeva con precisione dove era diretto.

Finire sempre in un dato posto, d'altronde, non poteva più essere spacciato per una coincidenza; non dopo tutte le volte che era accaduto. Ogni strada esplorata lo portava sempre alla stessa destinazione, sia che percorresse le vie della città sia che vagabondasse, come in quella circostanza, nel boschetto soprastante.

Poteva sembrare sentimentale sino allo stremo, dati i ricordi legati alla zona delle sue passeggiate, ma non gli importava. Non era una sua preoccupazione il sentirsi patetico nel percepire - ancora - il calore della rugosa mano di sua nonna, stretta attorno alla propria.

Mentre lo scricchiolio di qualche ramoscello disturbava il silenzio, non attutito a sufficienza dall'algida distesa bianca, il ragazzo donava sguardi distratti agli alberi imponenti che si ergevano intorno a lui.

Ammirava il vivido contrasto tra il verde profondo degli aghi di pino e il candore che li ricopriva indiscriminato. La forte opposizione di colori lo conduceva a un passo dal mal di testa, ma era così affascinante che non si sentiva in diritto di mostrarsi infastidito.

Ricordava i momenti in cui la madre di suo padre lo portava nelle vicinanze del famigerato luogo, meta delle sue consuete passeggiate: una casa enorme, lussuosa, moderna. Era di proprietà di gente ricca, molto ricca, per cui il signor Jeon lavorava come autista da anni.

Da bambino, guardare in lontananza l'elegante villa era un modo, per Jungkook, per sentirsi più vicino al genitore, per placare la sua mancanza, in attesa che arrivasse la sera.

Quando faceva i capricci, chiedendo senza sosta dove fosse il papà, il cuore intenerito della nonna cedeva, spingendo la donna ad accontentare il nipote con una camminata.

Nemmeno lo avesse davanti, rammentava alla perfezione il leggero traballare dell'indice dell'anziana, mentre indicava l'auto parcheggiata che, talvolta, riuscivano a scorgere.

"Il tuo papà è proprio lì! Vedi? Sta lavorando per te e la mamma. Stasera dagli un grosso bacio quando lo vedi, mi raccomando!".

Con le pupille puntate verso la direzione in cui si stagliava l'edificio, a lui pareva di udire ancora quelle parole, mentre avanzava in modo assorto, quasi stesse soddisfacendo un bisogno innato.

Quando giunse - come un automa - nelle vicinanze della dimora, protagonista di tante speculazioni e congetture fin troppo fantasiose, si fermò un momento. Si trattò di qualche secondo, giusto il tempo necessario a constatare che si trovava di nuovo lì.

Con una certa dose di ipocrisia avrebbe potuto fingersi sorpreso, sussultare persino, dinanzi alla vista della solita distesa color fumo, scandita da un motivo rigido e ordinato di mattoni. Questi erano impilati in file verticali, lisci e perfetti, simili a un modello virtuale.

Il muro grigio e imponente era l'unica cosa, della famigerata casa, che non fosse celata alla sua vista: il cancelletto chiuso lo sbeffeggiava puntuale, sancendo un confine invalicabile tra lui e quel mondo patinato.

Malgrado il metallico nemico non fosse visibile nell'immediato, da una prospettiva frontale, poiché era parallelo alla villa e nascosto dietro una parete esterna, lui aveva sempre la certezza che sarebbe stato chiuso.

𝐈𝐥 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐬𝐭 𝐝𝐢 𝐍𝐚𝐭𝐚𝐥𝐞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora