Barattare il sangue per l’alloro non era nelle mie aspirazioni artistiche ma, dopotutto, scriverne delle tragedie sembra permettere alle mie vene di dilettarsi in empirica goduria e lo confesso, lo sputo in questo progetto macchiato di lussuria soffocante.
Non sarà la prima volta che cerco di incidere, ribadire e sottolineare un punto che lascia sopravvivere solo lacrime di autocommiserazione e spasmi pietosi pensati per rianimare i miei massacri creativi. E sopra il terreno che copre i miei omicidi letterari in realtà io architetto, programmo come soddisfare quella maniaca dipendenza di distruggere, spaccare in mille pezzi infinite tastiere musicali che ancora non soddisfano alcun ego.
Eppure l’ho imparato, ho capito come le costanti non affondano le proprie radici nella memoria di un mondo colmo e stracolmo. Ho cercato di danzare e adattarmi tra i dinamici movimenti che hanno determinato ogni mio cambiamento, cambiamento che uno ad uno non ha fatto altro che cancellare ogni traccia del mio passato disperato, difettoso e inconcludente. Aggiornamento dopo aggiornamento, ho lasciato che il tempo mi stupisse e mi mostrasse che infondo avevo torto nella mia macabra genialità: scopata e stuprata, mi ha invece buttata sulle ginocchia perché fossi capace di vedere quanto grande fosse la mia impotenza, e si sa quanto poco la superbia conosca perdono. Niente baci né carezze; ho sentito ogni affanno sulla mia pelle accompagnato da schiaffi truculenti e la carne marcia che mi apparteneva sembrava talmente succulenta che ancora mi ritrovo aggrappata ai miei resti pestati sul pavimento.
Niente scuse, quando la propria sagoma abbandona tracce di vita per abbracciare ciò che diviene un’iterazione infinita di morte radicale e rinascita in ciò che agli altri piace chiamare routine.
Sorriso quotidiano, l’ignoranza di chi non vuole rivelarsi, la bevuta in compagnia perché sbiadisse la follia di un’ossessionata dall’immortalità e non può più risorgere. Ho emulato l’affetto perché non mi si schiaffasse in faccia l’evidenza della mia disumanità, e lentamente si è ibernato il mostro a quattro teste che contaminava la mia testa. Nulla di particolare, il solito capriccio di chi vuole sentirsi speciale per compensare il suo fallimento, quel poco che basta per tenere in vita un affranto immerso nei battiti privi di senso. E nella consapevolezza di essere un agglomerato di immondizia, rimpiango la sensazione di poter vantare di originalità come nel fiore dei miei capolavori incompiuti. Lo so, chi vive di nulla non può che divorare conoscenza fatta di banalità.
Riuscii a illudermi d’amare e mi costruii quella felice famiglia composta dalle menti migliori che potevo trovare e finsi l’idiozia. Mi feci piccola piccola, dipinsi l’innocenza sopra le pupille affinché potessi addirittura io credere a tali scemenze e ottenere quel tanto bramato alloro. Arrivai a illudermi di poter tenere sotto controllo quel mostro a quattro teste per l’eternità, e fu nel fulcro di tale realizzazione che l’innocenza nei miei occhi si sciolse in acida misantropia.