Capitolo Quarto | Il Ritorno |

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Quel giorno il sole era alto in cielo e faceva più caldo del solito. Mi svegliai a causa dei fastidiosi raggi di sole che penetravano dalla finestra. Era stata una notte molto pesante e quei ricordi mi tormentano in continuo. Alzo quel poco il busto dal morbido materasso appoggiandomi successivamente alla testiera del letto. Poso lo sguardo alla mia destra su un sacchettino per profumi. Mi sporgo per prenderlo e, una volta tra le mie mani, passo il pollice sul morbido velluto bordeaux. Quest'ultimo all'interno accoglie una spilla di bronzo a forma circolare con rappresentato un serpente il quale tiene tra le fauci un piccolo pezzo di pietra lunare. Un oggetto che nel suo insieme rappresenta molto, poiché esso è un regalo di mio fratello Marcus, donatomi all'epoca. Egli era un ragazzo molto acculturato, ma soprattutto superstizioso. Un giorno mi mostrò un frammento di una gemma, caratterizzata da un colore perlato e brillante, che sembra riflettere la tipica luce candida ed opaca della luna. Mi disse che è una gemma dal profondo valore storico e simbolico, conosciuta anche come Adularia o Selenite. Mi raccontò che vi sono vari significati a seconda dei popoli; per molto tempo gli indiani hanno creduto di trovare in essa un contatto divino, piochè ricordava un'antica dea a quattro braccia, molto venerata in alcuni paesi orientali. Nell'antica Roma, invece, si credeva che avesse la capacità di cambiare forma e faccia a seconda delle fasi lunari, quest'abilità di trasmutazione veniva attribuita al volere della dea Diana e molti pagani dicevano di intravedere il suo riflesso in essa. Ed infine, nei paesi dell'Est Europa veniva utilizzata come amuleto di buon auspicio.

Per tutte queste ragioni storiche ha voluto regalarmela, modellandola insieme all'animale che, sempre secondo lui, mi rappresentava. Il serpente. Sinceramente io non sono mai stato superstizioso e non inizierò ad esserlo adesso. Per me sono tutte dicerie a cui la gente dell'epoca credeva.

Mi sveglio dal mio stato di trance, notando il telefono illuminarsi. Lo afferro aprendo la notifica e notare che sia un messaggio da parte di Noah.

"Guardati bene alle spalle, lui è tornato"

Continuo a tenere lo sguardo su quel messaggio sconvolto, ma allo stesso tempo eccitato. Noah è uno dei miei fratelli sopravvissuto a nostro padre. È un ragazzo tutto d'un pezzo, serio, sempre vestito elegante, i capelli ordinati e composto. Capelli di un aranciato scuro e occhi di un verde grigiato. Ormai non ci consideriamo più fratelli, siamo dei conoscenti e nient'altro. Non abbiamo un rapporto o una comunicazione, lui mi contata solamente nei momenti di pericolo per me, ma soprattutto per lui. Di fatti, Noah non si è mai interessato al fatto che i Sommi Cultori, il nostro villaggio, ma in particolar modo la nostra famiglia mi volevano e mi vogliono morto.

Io sono il prescelto. I servi della Natura, per volontà della dea Astraea, vogliono ed esigono l'equilibrio naturale, motivo per cui l'Iris Oscuria era stata imprigionata. Ora ha trovato un nuovo ospite, io, per cui bramano la mia morte. Eliminare il male in me significa morire con lui. Di fatti non sopravviverei al rito di soppressione*.

Vi sono tre elementi principali che, se uniti, sono in grado di sopprimere l'Iris. Questo rito prevedere l'uso del Gleipnir, un nastro magico, tanto leggero e setoso quanto infrangibile. Composto da materiali come: barba di donna, radici di una montagna, respiro di un pesce, tendini di un orso, suono di passi di gatto e saliva d'uccello. L'ospite veniva legato gambe, braccia e collo con il Gleipnir, successivamente gli viene tagliata la mascella e cosparso di polvere di pietra celeste. Una volta finito, lo spirito dell'Iris si stacca dall'ospite e, in quel momento, basta solo racchiuderlo in una pietra nera colta da un luogo benedetto dalla dea Astraea. Sono comunque elementi molto rari da trovare al giorno d'oggi, constatando anche che i Sommi Cultori non esistono più.

Dovrei stare tranquillo?

Ritorno alla realtà, per l'ennesima volta, guardando nuovamente quel messaggio. Sento la rabbia impossessarsi di me, nata dai ricordi di secoli fa. Se veramente lui è tronato, non posso minimamente pensare di stare tranquillo. Mi ha trovato. Lancio il telefono sulla parete ed esco di casa spedito sbattendo la porta. Cammino in maniera nervosa, sentendo tutti i suoni circostanti rimbombarmi in testa e mescolarsi insieme. Sento i claxon, il vociare mitigato delle persone, le risate dei bambini, il sfrusciare delle ruote delle autovetture sull'asfalto, passi ... tutto. Mi sembra di impazzire. Sento i miei occhi incendiarsi e cambiare colore. Ho fame, ma devo resistere. Non posso farlo. Mi sono dato dei limiti da molti anni ormai, l'ho soppresso, non posso cedere alla tentazione.

Mi porto le mani alla testa stringendo e tirando i capelli. Ho la testa che minaccia di esplodere da un momento all'altro.

Dalla rabbia e frustrazione addosso un pugno al palo vicino, piegandolo come se fosse un esile filo di metallo. Mi guardo intorno, c'è troppa gente, devo andarmene. Affretto il passo fino ad iniziare a correre. Corro più che posso fino a ritrovarmi nei pressi del cimitero locale. Mi addentro dirigendomi verso la tomba di mio fratello. Mi siedo sul marmo della lapide guardando le incisioni su di essa con occhi lucidi, ripensando al suo viso angelico e la pressione dell'ombra dentro di me cessa.

"Non sono mai stato una persona normale - sorrido acido - ma ho sempre finto di esserlo. Per quanto può andare avanti il teatrino?" Gli sussurro triste.

Lascio un bacio sulla mia mano e successivamente la passo sulla lapide di marmo, sopra il suo nome. Mi alzo incamminandomi verso casa, quando mi sento colpire alle spalle da un pugnale. Mi accascio al suolo sofferente, voltando lo sguardo verso l'artefice di quel gesto.

"Ci si rivedere figliolo" sorride sfacciato.





Chiarimenti:

*per il rito di soppressione ho preso ispirazione dal mito di Fenrir, modificandolo leggermente. Il tagliare la mascella ricorda il momento in cui Viðarr, figlio di Odino e dio del silenzio e della vendetta, fermerà la mascella inferiore di Fenrir con un piede, e quella superiore con una mano, spezzandogliele. Quindi lo ucciderà, con un colpo di spada al cuore, vendicando così la morte del padre al quale era destinato.

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