Capitolo 5: Il guerriero dai mille volti.

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Nella storia vi sono stati tanti guerrieri, umani che si allenano tutta la vita per combattere per uno scopo giusto o sbagliato, per una vendetta inutile o legittima, per vivere o per sopravvivere. Alcuni di questi sono passati alla leggenda come i migliori mai vissuti sulla terra (come gli spartani, i vichinghi, i samurai...), Altri invece erano singoli uomini dalle capacità straordinarie ai limiti della leggenda (come Miyamoto Musashi, Carlo Magno, Gengis Khan...). E questi sono solo coloro che si conoscono. Quanti altri leggendari guerrieri sono esistiti e che non ne sappiamo della loro esistenza? Guerrieri che agivano nell'ombra senza mostrarsi al mondo per non farsi riconoscere e che molto probabilmente hanno ucciso tanti uomini tanto quanti questi leggendari guerrieri, che non cercavano la gloria o la fama.

Si potrebbe pensare che questi anonimi non esistono più... Ma uno di loro porta avanti questa lega ancora oggi. Si chiama Miyamoto, ha ventiquattro anni, ed è a tutti gli effetti un fantasma. L'anagrafe non lo tiene segnato da nessuna parte, mostra rarissimamente il suo volto, non ha una casa, amici o familiari. E', a tutti gli effetti, un mister nessuno. E non voleva farsi conoscere da nessuno. Ogni volta che doveva esporsi a certe situazioni ha indossato una maschera con un volto diverso, o dandosi un nome diverso, o entrambi a seconda.

Venne cresciuto da suo padre nei meandri più profondi del bosco di Aokigaara. Il padre era un fanatico del bushido (il codice del guerriero giapponese) della sopravvivenza e dello stoicismo. Proprio per questo la moglie lo lasciò, ma il padre ottenne la concessione del neonato figlio, e lui decise che lo avrebbe addestrato a essere un guerriero, forse il migliore mai esistito. Finse un doppio omicidio-suicidio e scappò in quel bosco insieme a lui. Quando Miyamoto compi cinque anni, subito incominciò il suo addestramento insieme al padre. Intere giornate passate ad allenarsi, a guadagnare forza e abilità nelle armi bianche e da lancio e a studiare (suo padre comunque gli diede una istruzione e lo portò diverse volte in città travestiti da barboni). Giornate intere passate a sopportare mille tipi diversi di dolore sempre più grandi. Ed in questi allenamenti assimilò la filosofia di suo padre: "sii consapevole che puoi morire in ogni istante. Sii pronto a quando arriverà." Questi due comandamenti erano diventate una parte di questo guerriero. Siccome psicologicamente tutte le paure sono collegate alla paura della morte (così come tutte le fobie ed ansie), non teme la paura. Nessuna emozione o tentazione, neanche la più forte, lo scompongono. E' una macchina per uccidere.

Ogni volta suo padre gli ricordava: "anche se io sono tuo padre, tu mi dovrai uccidere quando sarai diciottenne. Io la mia vita lo quasi vissuta del tutto, tu invece devi viverla ancora. Una vita per una vita. Quello sarà il tuo esame finale, poi sarai libero di andare, figlio mio." E così passò tutta la sua infanzia ed adolescenza: allenamenti giornalieri, caccia nella foresta per abituarsi a uccidere e per sfamarsi e riposo. Poi il fatidico giorno arrivò. Il padre e il figlio si misero in un cerchio molto ampio con al centro tutte armi che avevano e con cui Miyamoto si era allenato. In ogni momento dello scontro potevano cambiarla o prenderne un'altra. Entrambi all'inizio scelsero la Katana, l'arma con cui Miyamoto aveva più maestria di tutte. Si misero uno di fronte all'altro, e dopo un infinito minuto di silenzio in cui scoppiò a piovere, cominciarono lo scontro. Lottarono un giorno e una notte, senza mai fermarsi. Entrambi si fecero diversi taglio su tutto il corpo; ma il più profondo di tutti lo fece il padre a Miyamoto, un taglio in orizzontale sul naso. Ma alla fine il giovane vinse, riuscì a tagliargli le gambe con un solo fendente. Il padre gridò dal dolore, l'eco si perse nella foresta. A quel punto si arrese. "H-Hai combattuto bene, figlio mio..." Disse tutto indolenzito mentre si metteva a stento in ginocchio. Il sangue si mischiava alla terra che diventava fango per via della pioggia. La sua postura era dritta, come il suo collo. "Ti ho insegnato bene" disse con voce soddisfatta e stanca. "Sono orgoglioso di te... Ti auguro una buona vita."

Era arrivato quel momento per il giovane guerriero. Aveva superato il suo esame finale, e adesso mancava solo l'atto finale. Miyamoto per un istante abbassò gli occhi giù, titubante di volerlo fare. Era pur sempre suo padre dopotutto. Era il suo unico attaccamento emotivo a questo mondo. Ma doveva ucciderlo, era stato addestrato a questo fin dai suoi cinque anni. Fece un inchino in segno di rispetto verso suo padre, "grazie per avermi educato e reso ciò che sono" disse. A quel punto sollevò la spada e, dopo un brevissimo istante di esitazione, gli tagliò la testa con un fendente secco e preciso. Era tradizione per i samurai nel Giappone feudale tagliare la testa al nemico sconfitto. Un secondo dopo che la testa cadde per terra, anche il corpo lo seguì.

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