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Eugene Page parcheggiò l'auto sportiva che aveva noleggiato la sera prima all'aeroporto e scese per fare due passi lungo la riva del fiume.

Poco lontano la statale per Augusta era tutto un susseguirsi di macchine dei pendolari che, finito il lavoro, tornavano alle proprie abitazioni una campagna, ma dalla strada secondaria dove si era fermato lui non passava quasi nessuno e si sentiva lo scorrere dell'acqua.

Chiuse l'auto e attraversò la fascia d'erba polverosa fino all'argine: c'era vento e lui respirò una boccata d'aria fresca, riconoscendolo subito l'odore del suo fiume. Rimase a lungo a guarda l'acqua che scivolava via veloce verso il mare, e piano piano la tensione di quelle ultime tre settimane si allentò ed Eugene ritrovò un po' di pace.

Era molto stanco: non la ricordava neppure l'ultima notte di sonno ininterrotto. Voleva riposare e si rendeva conto che l'unico modo era andarsene di lì, ma non poteva. Sentiva un disperato bisogno di solitudine per ricaricare le batterie della sua psiche, ma doveva restare ancora un po', forse per molto, almeno finché non fosse riuscito a porre rimedio al danno che aveva fatto.

Si era dato dello stupido ancora prima di uscire di casa, ancora prima che glielo dicesse Hannah, come sempre senza peli sulla lingua. Era andato lo stesso da Gebhardt, ma non perché non fosse convinto di quello che gli aveva raccontato il cognato: era stata una specie di penitenza che si era imposto. Così aveva un'altra cosa di cui sentirsi colpevole.

Chissà se anche agli altri capitava di avere dei periodi così neri, in cui tutto quello che si fa si ritorce contro di noi, in cui le buone intenzioni si trasformano in azioni sbagliate o addirittura cattive, nocive, perfide. Chissà se Mike aveva mai avuto momenti simili... no, lui no senz'altro. Per lui c'era sempre stata una stella accesa in cielo e gli era sempre andato tutto bene. Il destino era dalla sua parte e la fortuna non gli aveva mai voltato le spalle. Era stato fortunato.

Eugene si cacciò i pugni in tasca. Fortunato. Al diavolo! Chissà come si sentiva fortunato alla fine, quando non era neanche più autosufficiente! Oh, Mike, mi dispiace! Avrei voluto esserci io al suo posto. Se potessi fare cambio, lo farei subito. La tua vita valeva tanto più della mia!

Ma fare cambio non si poteva: l'unica cosa che il restare era fare quello che il fratello aveva chiesto nell'ultimo messaggio.

Si trattava di una grande responsabilità grande almeno quanto il dolore e il rimpianto che si portava dentro e ai quali nessuno, ma proprio nessuno, voleva credere.

Quando Elias si svegliò era già buio. Gli occhi gli dolevano e si sentiva a pezzi, ma era quasi ora di cena e decise di farsi una doccia e quasi ora di cena e decise di farsi una doccia e scendere in cucina prima che Hannah si allarmasse. Si alzò, andò in bagno e indugiò a lungo sotto l'acqua calda. Alla fine, si sentiva esattamente come prima, ma almeno ci aveva provato. Si asciugò, si pettinò e indossò una vestaglia blu per tornare in camera.

Accese solo la luce sul comodino, poi aprì l'armadio per prendere dei boxer puliti, un paio di pantaloni e un maglione. Aveva posato i boxer sul letto quando sentì bussare alla porta. Pensando che fosse Hannah disse avanti senza pensarci, ma il sorriso che aveva preparato per accogliere la governante gli si gelò sulle labbra.

Lo sguardo di Eugene volò da lui alla sedia a rotelle in un angolo della stanza e al letto d'ospedale in cui Michael era rimasto confinato nelle ultime settimane.

"Che cosa aspetti a liberarti di quella roba?" disse entrando.

Elias trovò il suo tono irritante e fuori posto.

"Lo farò, un giorno o l'altro. Hai bisogno di qualcosa?"

Lui ignorò la domanda.

"Ma tenerla qui non ti dà fastidio? Non ti ricorda..."

Riamare di nuovoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora